Perché le donne si ammalano meno di Coronavirus
Ne abbiamo parlato con la ricercatrice Silvia De Francia del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, esperta di farmacologia di genere
Silvia De Francia è ricercatrice in Farmacologia al Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino, all'ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano. Si occupa, tra l'altro, di farmacologia di genere. Con lei abbiamo analizzato gli attuali dati sull'epidemia di Coronavirus in base alle differenze biologiche e di genere e abbiamo cercato di capire perché l'incidenza della malattia sia maggiore nella popolazione maschile. E quali siano le diverse risposte al trattamento farmacologico. Da un punto di vista più "sociale" abbiamo affrontato il tema del peso dell'emergenza sanitaria e perché si scarichi maggiormente sulle donne.
I DATI SULLA DIVERSA INCIDENZA. "Dagli studi cinesi, condotti a inizio 2020 su un campione di 5 mila pazienti, si evidenzia come il 65% dei pazienti colpiti da Covid-19 sia di sesso maschile. Questa differenza di genere si è vista anche per l'epidemia del 2003, quella della SARS, non è dunque un dato nuovo. Oltre agli studi cinesi, abbiamo i dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità, attraverso un report di fine marzo condotto su 7 mila pazienti italiani, da Nord a Sud. Il documento segnala il dato del 70% di incidenza sulla popolazione maschile", sottolinea De Francia. "Tra l’altro, gli uomini - aggiunge - mostrano una sintomatologia peggiore, quindi un maggiore aggravamento delle condizioni generali di salute. In base agli attuali dati, il paziente che maggiormente viene colpito dall'infezione da Covid-19 è uomo con un'età media di 75 anni che ha patologie concomitanti, per lo più di tipo cardiovascolare; verosimilmente il fumo è un fattore di rischio molto elevato che predispone all'incidenza di questa infezione".
PERCHÉ COLPISCE PIÙ GLI UOMINI. Quali sono i motivi per cui la malattia da Covid-19 colpisce più gli uomini delle donne? "Partirei dalla biochimica. Il Covid-19 - spiega la ricercatrice - entra nelle cellule sfruttando un enzima che si chiama ACE2. Questo enzima si è visto, nelle ricerche cinesi, essere molto più espresso nella popolazione maschile rispetto a quella femminile. Relativamente ancora alla biochimica, esiste una marcatissima differenza ormonale: il testosterone, l'ormone tipico dei maschi, sembra attivare il sistema ACE2 e quindi spalancare le porte all'ingresso del virus e all'infezione; gli estrogeni bloccano, invece, il sistema ACE2, un’attività che invece riprende in menopausa proprio quando nella donna si ha un calo della componente estrogenica. La componente ormonale va, inoltre, a giocare un ruolo molto importante nel controllo del sistema immunitario: il testosterone è un ormone di tipo immunosoppressore, mentre gli estrogeni sono immunostimolanti. Le donne del resto, è noto, hanno un sistema molto più forte e reattivo sin dall'infanzia. Rispondono meglio ai vaccini sviluppando rispetto agli uomini un maggior titolo anticorpale, per contro, però, le donne sviluppano patologie di tipo autoimmunitario in percentuale superiore rispetto agli uomini, penso alle tiroiditi al lupus eritematoso all'artrite reumatoide. Infine, i geni correlati alle risposte del sistema immunitario stanno proprio sul cromosoma X. Quindi, abbiamo una risposta biochimica e una considerazione sulle differenze ormonali e tutto si innesta sulla genetica perché le donne dispongono in doppia copia dei geni presenti sul cromosoma X rispetto all'uomo e quindi hanno delle risposte immunitarie decisamente più forti".
LE RISPOSTE AI FARMACI. Quella attualmente utilizzata per il trattamento della malattia da Coronavirus è una terapia reimpostata. "Si stanno rispolverando farmaci vecchi con nuove indicazioni. La terapia - precisa De Francia - si basa sulla somministrazione di antivirali, specificatamente antiretrovirali come i farmaci impiegati nel trattamento dell’Hiv, antimalarici, antibiotici che servono per curare eventuali sovrainfezioni e una terapia steroidea che aiuta a migliorare la respirazione. Tutti questi farmaci sono stati testati e immessi in commercio a seguito di sperimentazioni cliniche condotte soltanto sulla popolazione maschile o perlopiù. E, quindi, ci aspetteremo effetti collaterali maggiori nelle donne, che peraltro mostrano spesso reazioni allergiche agli antibiotici. Dobbiamo considerare la diversa cinetica che caratterizza il movimento del farmaco nel corpo della donna o dell’uomo; le caratteristiche fisiologiche diverse fanno sì che possa avere minore efficacia o più tossicità". Cosa fare: "Bisognerebbe, anche nel caso del Covid-19, impostare un atteggiamento di ricalcolo delle dose da somministrare. La legge 3 del 2018, per la diffusione della Medicina di genere negli ospedali, ha garantito l’inserimento del parametro di genere negli studi di sperimentazione clinica dei farmaci. Anche per questi farmaci vecchi con un abito nuovo, citati prima, bisognerebbe pensare a studi di sperimentazione clinica che coinvolgano pazienti per genere".
IL PESO SULLE DONNE. La distribuzione del peso sociale dell’emergenza sanitaria non è eguale. "Se negli anni recenti si è cercato di smorzare gli stereotipi relativi alla donna come soggetto deputato alla cura e alla famiglia, l'emergenza Coronavirus - sottolinea la ricercatrice - ci ha fatto fare un salto indietro di cinquant'anni. La cura della casa, la spesa, le pulizie e la gestione dei figli sta ricadendo maggiormente sulle donne. Inoltre, i dati nazionali riferiscono un calo nelle segnalazioni di violenze domestiche, il problema sta, in verità, nella più difficile denuncia delle donne, spesso chiuse in casa con i propri persecutori. Rilancio, allora, l'invito della ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti rivolto alle donne di uscire a denunciare. Ed è stato predisposto un numero antiviolenza: 1522. C'è, infine, il problema dei genitori che lavorano e non vedono più i figli, un'alienazione su cui colleghi psicologi e sociologi avranno da lavorare".
L'IMPORTANZA DELLA SANITÀ PUBBLICA. Secondo Silvia De Francia l'insegnamento che dovremo ricavare da questa difficile esperienza collettiva è quello sul valore della sanità pubblica. "L'eccellenza privata, dalla cardiologia all'oncologia, non può curare il popolo. Ritengo che più posti negli ospedali pubblici avrebbero consentito di salvare più vite. Per un lavoro che sto completando sulla Medicina di genere, mi è capitato di rileggere la biografia di Tina Anselmi, che nel 1978 istituì il Sistema Sanitario Nazionale, un cambiamento epocale, un sistema pubblico basato su principi di universalità, uguaglianza ed equità tra i cittadini. Un sistema che con i tagli degli ultimi anni a vantaggio del privato abbiamo di fatto distrutto. Quando leggo che i posti in terapia intensiva sono oggi circa 600 e che un mese fa erano meno di 300, contando gli oltre 4 milioni di abitanti del Piemonte, penso che questa sia stata una tragedia annunciata. Dobbiamo riprendere a investire nel pubblico, nell'interesse della comunità e riprendere a pensare come fece Tina Anselmi nel 1978".
#unitohomecommunity