L'innovativo suono in 8D? Esiste da 30 anni e si chiama audio binaurale
Intervista ad Andrea Valle, docente di semiotica dei media ed esperto di multimedialità e sistemi audiovisivi
Andrea Valle insegna Semiotica dei media al Dams dell’Università di Torino. Si occupa principalmente di semiotica generale, audiovisione, musica elettronica e composizione algoritmica. Ha fondato il CIRMA, Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Multimedialità e l'Audiovisivo di UniTo ed è stato membro del Consiglio direttivo dell'Associazione Informatica Musicale Italiana dal 2010 al 2018. A lui abbiamo chiesto di fare chiarezza sul fenomeno dell’audio in 8D, un tipo di tecnica apparentemente innovativa ma che, di innovativo, ha poco o nulla.
Professor Valle, proviamo a spiegare cosa si intende per audio in 8D
Prima di farlo è necessaria una premessa. Iniziamo col dire che, da un punto di vista evolutivo ed ecologico, le orecchie hanno due scopi: identificare la sorgente del suono e la sua posizione nello spazio. Mentre per la prima informazione è sufficiente usare un solo orecchio, per identificare la posizione del suono nello spazio abbiamo bisogno di entrambe. Bisogna cioè confrontare i segnali che arrivano dalle due orecchie. Detto questo, la questione si può ribaltare dal punto di vista tecnologico. Se sono nell’ambito dell’industria della tecnologia del suono, come posso fornire l’informazione spaziale? La soluzione standard è utilizzare una sorgente stereo, cioè avere due altoparlanti, come quelli del nostro pc. Entrambi contribuiscono alla vibrazione complessiva del mezzo e, nelle due orecchie, siamo in grado di sentire la risultante sonora. È come se i due altoparlanti, posizionati idealmente davanti a noi, creassero una linea: lungo quella linea vanno a posizionarsi i suoni, che potranno essere perfettamente centrati, ma anche spostati verso sinistra o verso destra.
Oltre alle casse del nostro pc, dove altro troviamo questo tipo di effetto?
Il meccanismo stereo può essere esteso, come avviene al cinema. Tipicamente nelle sale si usa un sistema chiamato 5.1, che poi è stato espanso fino a diventare 7.1 o 9.1. Questi numeri stanno ad indicare la quantità di sorgenti (il “.1” indica un canale riservato alle basse frequenze). Quindi, a differenza del nostro pc, dove il suono fuoriesce da due sorgenti, in una sala cinematografica ne troviamo 5, 7 o 9. Si applica lo stesso principio della linea ideale a cui accennavo prima, solo che quando vediamo un film, la linea diventa una sorta di perimetro tutto intorno a noi. Addirittura, se avessimo anche delle sorgenti posizionate in alto, si andrebbe ad aumentare questo tipo di immersione sonora.
È possibile ricreare tale effetto in cuffia?
Si, ma bisogna ragionare in modo totalmente differente. Invece di costruire un sistema con molte sorgenti, possiamo focalizzarci sulla percezione del risultato, calcolando la somma di tutte le vibrazioni e, una volta ottenuta la risultante, distribuirla attraverso le cuffie. Tenendo presente anche altri fattori, come la distanza tra le orecchie, la presenza della testa e la velocità del suono, ecco che abbiamo il quadro complessivo. Questo quadro è stato studiato e la tecnologia che lo utilizza si chiama audio binaurale. L’audio binaurale dunque è in grado di codificare l’informazione spaziale del suono, per poi distribuirla attraverso le due orecchie, usando un insieme di funzioni chiamate head-related transfer function.
Quindi l’audio 8D non è nient’altro che audio binaurale?
L’audio binaurale in realtà è molto conosciuto. Viene utilizzato, più o meno rigorosamente, in ambito di installazioni museali, nei contesti di realtà virtuale o in alcuni videogiochi immersivi. La situazione tipica può essere esemplificata con Call of Duty: io mi muovo in uno spazio e, così come ho bisogno di informazioni visive, altrettanto fondamentali sono le informazioni acustiche, tipo sapere da dove proviene la raffica di mitra. È un tipo di tecnologia che si sviluppa dagli anni ’80, ampiamente studiata e applicata. Nel 2005, insieme al collega Vincenzo Lombardo, che ne era il coordinatore, abbiamo presentato un progetto europeo di ricostruzione in realtà virtuale di un padiglione dell’Expo del 1958. Per farlo, ci siamo serviti proprio di audio binaurale e visori stereoscopici. Solo che avevamo bisogno di macchine per l’epoca molto potenti. Ma ora quella capacità computazionale è largamente disponibile su computer e consolle.
Ma perché, se si tratta di audio binaurale, viene chiamato 8D?
Non si sa da dove saltino fuori tutte queste D. Anche perché, se ragioniamo in termini di dimensioni, le dimensioni spaziali solo 3. Quindi, quando parliamo di audio-video, non si va oltre il 3D. Penso si tratti di una definizione creata ad arte per destare meraviglia. Personalmente ho visto un video che pubblicizzava un audio in 24D! Però bisogna essere chiari: se la D, invece di riferirsi alla dimensione si riferisce ai parametri, allora può averne anche 3mila!
Come si spiega questa viralità degli audio in 8D?
Si è creato una sorta di hype commerciale. L’idea che mi sono fatto è che l’audio binaurale sia stato implementato all’interno di plug-in per il mixaggio di musica, per poi essere messo in circolazione su whatsapp, suscitando la meraviglia dell’ascoltatore. Se cerca su google informazione sull’audio 8D non troverà nessun paper scientifico, ma solo articoli di magazine che si occupano di moda o costume. Questo perché, a livello tecnologico, non c’è nulla di particolare. Si tratta di semplice audio binaurale, usato per il gaming, applicato in maniera semiautomatica a canzoni già fatte, con l’aggiunta di un po’ di riverbero per correggere alcuni difetti tecnici. Pare che ci sia già stata una viralità di questo tipo, qualche anno fa, negli Stati Uniti. Ora è toccato a noi, ma faccio ancora fatica a capirne il senso. Prima stavo ascoltando Stairway to Heaven dei Led Zeppelin e sembrava di avere Jimmy Page che mi girava continuamente attorno.
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