L'evoluzione del gigantismo nelle balene franche e della Groenlandia
Ricercatori UniTo hanno dimostrato come l’origine del gigantismo nelle balene franche e della Groenlandia sia dovuto a specifiche e indipendenti risposte di specie diverse a differenti stimoli ambientali tra cui i cambiamenti climatici.
Le balene franche costituiscono un gruppo di cetacei con fanoni (Mysticeti) che includono individui di grandi dimensioni (fino ad oltre 20 metri di lunghezza e circa 55 tonnellate di peso). Si nutrono di piccoli crostacei (copepodi calanoidi) filtrando l’acqua con i loro grandi fanoni (lunghi anche più di un metro) e formano enormi gruppi immediatamente al di sotto della superficie del mare. Le balene franche (generi Eubalaena e Balaena) vivono sia nell’emisfero boreale (Balaena mysticetus, Eubalaena glacialis ed Eubalaena japonica) che in quello australe (Eubalaena australis). Fossili di questo gruppo di cetacei sono molto abbondanti in Europa e la documentazione paleontologica italiana ne è ricca. Poiché le balene franche sono capaci di catturare enormi quantità di piccole prede, hanno anche la possibilità di sequestrare grandi quantità di carbonio e contribuiscono a determinare il flusso di energia nelle catene trofiche oceaniche. Per questo motivo, insieme alle balenottere, sono state considerate dei veri e propri “ingegneri oceanici”.
L’origine delle enormi dimensioni di questi animali è ancora da comprendere appieno. Un’ipotesi pubblicata qualche anno fa suggeriva che i misticeti nel loro complesso avrebbero evoluto taglie gigantesche in risposta al raffreddamento climatico globale degli ultimi 2 milioni e mezzo di anni. È infatti noto che le grandi dimensioni favoriscano la vita in ambienti molto freddi promuovendo uno scambio termico con l’ambiente favorevole per l’animale. Più recentemente è stata avanzata l’idea che le grandi dimensioni siano state ottenute dai misticeti dopo l’evoluzione di specifici adattamenti per alimentarsi su prede molto ricche da un punto di vista energetico. Qualunque teoria, comunque, si basa sui risultati di tecniche statistiche per la ricostruzione della taglia corporea dei misticeti fossili.
Michelangelo Bisconti, Luca Pellegrino e Giorgio Carnevale, docenti e ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Torino, hanno sviluppato equazioni affidabili per la ricostruzione della lunghezza dei balenidi fossili utilizzando i risultati come base per ricostruire i cambiamenti delle dimensioni medie delle popolazioni di balene franche degli ultimi 10 milioni di anni. I ricercatori hanno testato i risultati tenendo presente il particolare rapporto tra lunghezza della testa e lunghezza totale del corpo nei balenidi. Infatti, in questo gruppo, la testa è lunga circa un terzo della lunghezza massima del corpo mentre negli altri misticeti la testa è proporzionalmente più piccola (un quarto o un quinto della lunghezza totale). Una volta ottenuto il range di variazione delle dimensioni corporee nel corso del tempo, hanno comparato i risultati con curve che mostrano i cambiamenti nel tempo di: (1) temperatura, (2) abbondanza di nutrienti negli oceani (ad esempio, il Silicio) e (3) abbondanza di diatomee nel record fossile. I ricercatori hanno osservato che l’abbassamento della temperatura degli ultimi 2 milioni e mezzo di anni è in buon accordo con l’aumento delle dimensioni della balena della Groenlandia (Balaena mysticetus) e può quindi spiegare l’origine del gigantismo in questa specie. Non è così per le balene franche del genere Eubalaena che hanno raggiunto dimensioni molto grandi già alla fine del Miocene e nel Pliocene inferiore. I fossili di balenidi del Pliocene italiano mostrano infatti la presenza di balene franche di circa 25 t di peso già nel Mediterraneo di 3 milioni e mezzo di anni fa.
La variazione di abbondanza delle diatomee entra in gioco a questo punto. È stato possibile stabilire una relazione tra l’andamento dell’abbondanza delle diatomee e le dimensioni delle balene franche che suggerisce che l’aumento delle dimensioni nel genere Eubalaena si è realizzato in un momento di grande abbondanza di cibo. Enorme disponibilità di cibo, infatti, garantisce la sopravvivenza di individui più grandi dai quali può avere origine una specie caratterizzata da grandi dimensioni. E’ questo un approccio pienamente darwiniano.
In conclusione, i ricercatori, che hanno pubblicato la ricerca sul Biological Journal of the Linnean Society, ritengono che l’origine del gigantismo nelle balene franche e nelle balene della Groenlandia sia dovuto a specifiche e indipendenti risposte di specie diverse a differenti stimoli ambientali. Il gigantismo non va dunque interpretato come una risposta generalizzata dei misticeti al cambiamento climatico ma va pensato come possibile risposta, esibita da alcuni rami evolutivi, a regimi selettivi differenti.
La ricerca, divulgata recentemente anche su New Scientist, mette inoltre in evidenza il fatto che nel Pliocene inferiore, la biodiversità delle balene franche era caratterizzata da numerose specie di piccole dimensioni (tra 5 e 8 m di lunghezza). Con i raffreddamenti climatici intervenuti circa 3 e circa 2,5 milioni di anni fa, le specie di piccole dimensioni si sono estinte rapidamente lasciando il posto alle sole specie di grandi dimensioni. I balenidi di oggi rappresentano dunque un relitto della passata biodiversità di questo gruppo. La documentazione fossile, ancora una volta, fa riflettere sul rapporto tra biodiversità e cambimenti climatici e mette in guardia circa il rischio di estinzione che i giganteschi mammiferi marini stanno attualmente correndo. L’estinzione delle balene franche, ritenuta pressoché inevitabile nell’oceano Atlantico settentrionale, rischia di modificare radicalmente il flusso di energia nelle catene trofiche oceaniche con conseguenze ad oggi incalcolabili.