Il Coronavirus come opportunità per snellire la burocrazia italiana
Intervista a Roberto Cavallo Perin, avvocato e docente di Diritto Amministrativo
Più che un obiettivo, la semplificazione amministrativa per molti è un’esigenza. Soprattutto in momenti emergenziali, come l’attuale pandemia da Covid-19, snellire le procedure burocratiche può portare enormi benefici. Ma come si interviene in un mondo così complesso come quello della pubblica amministrazione? Lo abbiamo chiesto a Roberto Cavallo Perin, avvocato e professore ordinario di Diritto Amministrativo all’Università di Torino.
Professore, quando si parla di semplificazione amministrativa, da dove si comincia?
La semplificazione ha un costo, perché ogni norma prevede un bilanciamento. Se io favorisco qualcuno, ci saranno altri che saranno contrari. Non bisogna trattare tutti alla stessa maniera, questo è il maggior errore che stiamo continuando a fare. Credo che ormai siamo giunti a una svolta significativa: bisognerà affidare all’intelligenza artificiale tutte le operazioni ripetitive, è l’unica cosa che ci porterà fuor da questo pasticcio. La gran parte degli atti della pubblica amministrazione sono atti ripetitivi e le macchine, adeguatamente programmate, saranno più brave di noi. C’è troppo lavoro alienante, che rende la gente isterica, antipatica e deconcentrata. Lo Stato dovrebbe capire che gli algoritmi sono la vera soluzione ai procedimenti amministrativi. Ci sono delle obiezioni, ma è ciò che sta accadendo ovunque. E poi, altro problema: smettiamola di essere così superficiali, così grossolani nel non saper usare quello che già abbiamo. Sono disponibili una marea di dati, la smettiamo di farli usare solo a Google? Questo cambierebbe il mondo della pubblica amministrazione. Qui non si parla più di un’amministrazione semplificata, ma di un’amministrazione intelligente.
Quando si parla di semplificazione amministrativa, il fondamento normativo è la legge 241/1990. Dopo trent’anni, è ancora efficace?
Per come è stata concepita, la 241/1990 è un intervento legislativo sufficiente. Ma la semplificazione è un fatto organizzativo, non normativo. Gli anni ‘90 hanno avuto un principio ispiratore che, per fortuna, non si è espresso nella 241 del 1990, ma che ha invece trovato spazio con le cosiddette riforme Bassanini, quando sul finire del decennio si è instillata la convinzione di poter cambiare la pubblica amministrazione cambiando le norme. Non è stata una buona idea, le norme sono astratte e non possono cambiare la concretezza. Ciò che possono fare è favorire o proteggere un cambiamento, ma non essere il cambiamento. Non si possono contorcere delle organizzazioni complesse, come le amministrazioni territoriali, emanando una norma che dice “da domani tu sei efficiente”. C’è stata una grande illusione, quella di credere che bastasse togliere di mezzo l’amministrazione per avere una buona amministrazione, il che è una contraddizione in termini.
Recentemente 500 sindaci hanno scritto al Presidente Conte chiedendo la sburocratizzazione dei procedimenti amministrativi. Quali sono i procedimenti più urgenti da semplificare?
Riguardo i sindaci, il tema in realtà non è la sburocratizzazione dei procedimenti, bensì la deresponsabilizzazione degli amministratori. La complessità della vita odierna porta tutti i decisori a chiedere una legge che li giustifichi. Gli amministratori hanno paura a prendere decisioni in situazioni di estrema necessità, e hanno ragione. Per come la vedo io, è una richiesta d’aiuto a un fratello maggiore (lo Stato, ndr), a cui stanno chiedendo di non essere processati. La sburocratizzazione è, in realtà, una richiesta di amnistia.Si sentono vulnerabili. Riguardo i procedimenti da semplificare invece, in generale i fastidi maggiori derivano dal fatto che le amministrazioni chiedono cose che già sanno. Non è dunque una questione normativa. Anche perché una norma c’è già. L’articolo 18, comma 2, della legge 241 del 1990 dice che le pubbliche amministrazioni devono smetterla di chiedere agli individui cose che già conoscono. La semplificazione sta nell’applicare le norme, sburocratizzare significa avere un’amministrazione intelligente e non impaurita. Oggi abbiamo un’amministrazione “difensiva”: si chiedono i documenti su carta perché non c’è fiducia, così se succede qualcosa possono dimostrare di aver fatto tutto secondo le procedure. Ma sono cose inutili. Le amministrazioni hanno paura. Paura della Corte dei Conti, paura del giudice penale. Quindi, quando si parla di opere di semplificazione, bisogna prima cambiare questa logica. Sono convinto che, se l’emergenza Coronavirus durerà ancora un po’, tutti si abitueranno ad agire con più agilità in ambito amministrativo.
Secondo lei quindi la quarantena sarà un’occasione per snellire la burocrazia italiana?
Dipende da quanto tempo durerà. Ci sarà una fase due, che però non ci restituirà la libertà di prima. Quindi saremo obbligati a imparare a usare gli strumenti telematici come se fossero la nostra normalità. Stiamo facendo un corso accelerato full time all’intera popolazione lavorativa italiana. È un’opportunità mai avuta prima, se ne rende conto? Per i prossimi mesi, tutti quelli che hanno fatto finta di non vedere il problema dovranno affrontarlo. Sono convinto che il 60-70% della popolazione passerà da una conoscenza quasi nulla a una conoscenza ordinaria degli strumenti telematici. Le garantisco che, entro l’estate, la gran parte degli italiani avrà capito e metabolizzato un mondo nuovo. E lo avrà appreso in maniera irreversibile.
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