Gli aiuti di stato e lo scontro tra Corte Costituzionale tedesca e BCE: cosa sta succedendo nell'eurozona?
Intervista a Francesco Costamagna, docente di diritto dell'Unione Europea all’Università di Torino
Le previsioni economiche post-pandemia spaventano i paesi dell’Eurogruppo. Un timore che riguarda tutti i 19 stati della zona euro, in particolare quelli maggiormente in difficoltà. Con Francesco Costamagna, docente di diritto dell’Unione Europea all’Università di Torino, abbiamo affrontato due dei temi più discussi in questo periodo: il meccanismo di aiuti economici agli stati membri e la recente pronuncia della Corte Costituzionale tedesca contro il programma d’acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea.
Professore, cosa sta accadendo nell’eurozona?
Abbiamo una crisi economica molto importante in tutti gli stati membri. Alcuni di loro hanno però delle risorse economico-finanziare superiori agli altri, che gli consente di gestire meglio la crisi. Allo stesso tempo, abbiamo una richiesta di solidarietà da parte degli Stati in difficoltà. Almeno fino ad ora, l’Unione Europea ha saputo agire soprattutto grazie alle sue istituzioni autenticamente sovranazionali, quelle non ostaggio dei veti incrociati degli Stati membri. Mi riferisco, tra le altre, alla Banca Centrale Europea (BCE), che ha immesso enormi quantità di liquidità per tenere in piedi il sistema, aiutando i Paesi più in difficoltà.
All’interno dell’Unione Europea, in che modo la pandemia ha cambiato i meccanismi di aiuto agli Stati membri?
Finora, al di là dell’intervento della BCE, la crisi economica derivante dalla pandemia è stata affrontata soprattutto attraverso interventi da parte degli Stati membri. Per favorire questo tipo di intervento, l’UE ha modificato il regime degli aiuti di Stato, consentendo agli Stati membri di andare oltre quanto previsto dagli articoli 107 e 108 del TFUE per intervenire a sostegno delle imprese e dei cittadini. L’altra misura, collegata a questa, è la sospensione temporanea del Patto di Stabilità e di Crescita, il famoso (o famigerato) sistema di regole che disciplina la gestione delle politiche di bilancio degli Stati membri, consentendo di sforare il 3% del rapporto deficit-PIL e il 60% del rapporto debito-PIL. Tutto ciò è ovviamente temporaneo, perché non appena finirà la pandemia queste regole torneranno ad applicarsi. Ciò significa che i debiti accumulati, prima e durante l’emergenza Covid, dovranno in qualche maniera essere gestiti. Si dovrà capire con quali tempi e in quali termini.
Pochi giorni fa abbiamo assistito a uno scontro tra la Corte Costituzionale tedesca e la BCE, che ha interessato anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Proviamo a ricostruire la vicenda.
Bisogna fare una precisazione: il giudizio della Corte Costituzionale tedesca non riguarda il Pandemic Emergency Purchase Program (PPEP), quello da 750miliardi di euro che la BCE ha messo in campo per contrastare l’epidemia, di cui tanto si è discusso. Riguarda un precedente programma di acquisto di titoli, da parte della BCE, che già nel 2015 era stato contestato da gruppi politici di estrema destra in Germania, i quali avevano sollevato il caso davanti alla Corte Costituzionale tedesca. La vicenda ha visto un rinvio pregiudiziale, proposto dalla Suprema Corte tedesca innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). La CGUE aveva sancito che quel programma di acquisto era compatibile con il diritto dell’Unione Europea. Una risposta che però non ha convinto i giudici costituzionali tedeschi, i quali hanno ritenuto che l’azione della BCE e l’azione della CGUE fossero ultra vires, cioè che andassero oltre le loro competenze. Quindi, la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato di non sentirsi vincolata alla pronuncia della CGUE.
In concreto, cosa comporta questo giudizio?
La Corte Costituzionale tedesca ha detto: decido io se il programma di acquisto della BCE è compatibile con il riparto di competenze tra Stati e Unione europea, secondo quanto previsto dai Trattati. La sua conclusione è che, al momento, non lo sia, a meno che entro tre mesi la BCE non chiarisca quali sono i confini della sua azione, dimostrando di non essere andata oltre il limite delle sue competenze. Se entro tre mesi questo non dovesse succedere, la Bundesbank (la Banca Centrale tedesca) e il Governo tedesco non potrebbero più, secondo la Corte Costituzionale, partecipare a questo tipo di programma, perché costituzionalmente illegittimo. Da un punto di vista operativo sarebbe un indubbio problema, comportando un passo indietro da parte della Banca Centrale del Paese più ricco ed economicamente influente d’Europa. Giuridicamente la Suprema Corte, pur rivolgendosi agli altri organi costituzionali tedeschi (Bundesbank e governo federale), si rivolge indirettamente anche alla BCE, chiedendole di dare delle spiegazioni. Un atteggiamento abbastanza insolito.
Ci sono stati dei precedenti?
C’è una lunga tradizione di conflitti tra le due corti. Poi lo si può chiamare come si vuole: dialogo, confronto, ma la Corte Costituzionale tedesca e la CGUE hanno avuto molto spesso posizioni differenti, tra l’altro su questioni cruciali per il processo di integrazione europea. Oggi però siamo in un periodo particolare, di estrema fragilità e debolezza per il sistema economico comunitario. Forse una sentenza del genere non è del tutto inattesa, ma il fatto che sia stata pronunciata in questo momento suggerisce il perseguimento di obiettivi di carattere politico da parte della Corte Costituzionale tedesca, che vuole rafforzare ulteriormente la posizione negoziale della Germania in Europa nelle trattative per uscire dell’emergenza. Ma è un atteggiamento che innalza ancora di più i toni dello scontro.
Come si risolve questo stallo?
Non è chiarissimo. La BCE probabilmente non darà seguito, in maniera esplicita, alla richiesta della Corte tedesca. Perché se facesse così con quella tedesca, in futuro potrebbe essere chiamata a dare conto a tutte le altre corti nazionali. Sarebbe il caos, la fine del sistema finora conosciuto. Una possibile soluzione tecnica è quasi un escamotage: la richiesta di chiarimento venga formulata dal Governatore della Bundesbank, il quale siede nel Consiglio direttivo della BCE. A quel punto, la BCE potrebbe fornire le spiegazioni in risposta a questa richiesta e non a quella della Corte costituzionale. Il problema vero è che i limiti posti dalla Corte Costituzionale tedesca incidono molto sullo strumento adottato contro la pandemia. Sebbene la Corte costituzionale affermi di non occuparsi nello specifico della misura anti-crisi, di fatto lo fa. Il punto più problematico è l’acquisto di una quantità maggiore dei titoli emessi da alcuni Stati rispetto ad altri. Capiamoci: la BCE sta comprando molti più titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi. Questo è mal digerito in giro per l’Europa, quindi la Suprema Corte tedesca chiede che ci sia un riequilibrio nel programma d’acquisto. Ma un riequilibrio farebbe perdere di efficacia il programma limitando l’aiuto ai Paesi in difficoltà.
Il conflitto tra la Corte Costituzionale tedesca e la BCE è solo economico, o c’è dell’altro?
Nel corso degli anni, più volte, si è discusso sulla distinzione tra politica monetaria e politica economica. La linea di distinzione è quasi impossibile da tracciare in realtà, trattandosi di due ambiti fortemente connessi, quando non del tutto inscindibili. Ma è una distinzione fondamentale nel sistema dell’UEM, posto che la politica monetaria è di competenza esclusiva dell’UE, mentre quella economia resta nella competenza statale. Non sorprende, quindi, che nell’ambito di questa controversia la BCE e la Corte di Giustizia ritengano che le misure adottate rientrino nella politica monetaria, mentre i giudici tedeschi ritengano che si tratti di politica economica e, in quanto tale, esse operino in un ambito di competenza esclusiva degli Stati, senza rispettarne i limiti, soprattutto per ciò che riguarda il controllo democratico previsto dalla Costituzione tedesca. Si tratta di una questione tutt’altro che banale. Volendo dare una lettura più ottimistica della pronuncia, non resta che sperare che l’individuazione di paletti più rigidi alla capacità della BCE di intervenire massicciamente sul mercato sproni gli Stati e la politica a farsi carico delle proprie responsabilità. Fino ad oggi, lo scontro tra gli Stati ha potuto protrarsi anche grazie all’ombrello offerto dalla BCE. Se questo ombrello si ridurrà, ed è un possibile effetto della sentenza, gli Stati dovranno finalmente farsi carico in maniera piena delle loro responsabilità.
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