Essere infermiere ai tempi del Coronavirus
Intervista a Valerio Dimonte, docente di scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche, che da 35 anni si occupa della formazione infermieristica
Cosa vuol dire essere infermiere durante l’emergenza Coronavirus? Lo stress, la preoccupazione, ma anche tutte le incertezze quotidiane che gli operatori sanitari sono costretti a fronteggiare. Ne abbiamo parlato con Valerio Dimonte, docente di scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche all’Università di Torino, che da 35 anni si occupa della formazione infermieristica, sia in ambito ospedaliero che accademico.
Prof. Dimonte, nella sua lunga esperienza c’è stata un’emergenza paragonabile a quella odierna?
No, nulla di paragonabile. Ricordo ancora da allievo infermiere quando nel 1980 c’è stato il terremoto in Irpinia, dove si era cercato di organizzare degli aiuti sanitari da inviare sul territorio colpito. Ma era una cosa molto localizzata, anche se grave. Ciò che sta accadendo oggi con il Coronavirus, sia come estensione territoriale che come natura dell’emergenza, è una cosa assolutamente nuova.
È in contatto con colleghi impegnati nei reparti Covid? Che tipo di testimonianze le arrivano?
Ne ho sentite diverse. Il sentimento prevalente in questa fase è uno: la preoccupazione. Non tanto per sé stessi, ma per i propri familiari e i malati da assistere. La preoccupazione risiede nello svolgere un ruolo, molto vicino ai pazienti, dove si rischia di essere fonte di contagio. Sento colleghi che stanno subendo uno stress morale molto forte. Poi c’è il problema della mancanza di sostegno da parte dei parenti dei malati. Dopo tanti anni in Italia si è riuscito a concedere ai parenti di stare vicino ai pazienti ricoverati, senza particolari vincoli. Di colpo questa risorsa importantissima per i malati è venuta a mancare, quindi gli infermieri si trovano a compensare - più di quanto non facciano normalmente – la vicinanza umana fornita dai familiari dei malati.
La salute degli operatori sanitari è tutelata adeguatamente?
La situazione è molto variegata. In alcuni ospedali hanno tutto il materiale necessario, in altri invece lo stesso materiale non è adeguato. Ma è lo stesso problema a cui facevo riferimento prima: il personale sanitario, proprio per il rischio di essere esso stesso fonte di contagio, dovrebbe essere più controllato È un problema enorme, non facile risolvere in tempi rapidi, ma intanto si sta riversando su chi è impegnato in prima linea. Anche perché, di fronte a queste problematiche non è che ci si rifiuta di lavorare o si fugge. Si sta dentro il reparto, ma è chiaro che lo si fa con maggiore apprensione.
Invece, a livello professionale, la preparazione degli infermieri è all’altezza della situazione?
Dal punto di vista tecnico non ci sono problemi. I criteri assistenziali che gli infermieri stanno utilizzando sono quelli che si utilizzavano anche prima dell’emergenza. Le difficoltà che stiamo riscontrando hanno a che fare con l’organizzazione del lavoro in una situazione di emergenza. Questo ci può far riflettere per il futuro, magari nell’insegnare a fronteggiare situazioni al limite, non facili da prevedere. Quindi svolgere esercitazioni su come si sta all’interno di una filiera di competenze che devono integrarsi l’una con l’altra, migliorando l’efficienza operativa. Ma questo riguarda anche altri ambiti, non solo quello sanitario.
L’impatto del Coronavirus cambierà il modo di formare gli infermieri del futuro?
L’emergenza ci sta costringendo a fare una riflessione: ripensare al “core” disciplinare delle competenze infermieristiche, alle competenze essenziali da trasmettere. Non è dunque un problema di nuove tecniche da imparare, quanto piuttosto come svolgere la professione in un contesto dove ci sono delle limitazioni. Quando avverrà la riprogrammazione della didattica, la sfida sarà ripensare a quali sono le cose essenziali, sia nella teoria che nei tirocini.
A proposito di tirocini: alcuni vostri studenti sono impegnati nell’offrire un pre-triage all’ingresso delle Molinette
È stata data l’opportunità di svolgere questo tipo di attività, in accordo con l’AOUCSS che ha messo a disposizione tutti i dispositivi di sicurezza per gli studenti. L’esperienza si sta svolgendo anche presso la sede del Corso di laurea di Ivrea in accordo con l’ASL. Abbiamo pensato che questa fosse un’esperienza per capire come si opera in situazioni di emergenza. Non tanto tecnicamente, quanto dal punto di vista organizzativo e della relazione con gli altri soggetti impegnati: medici, tecnici, protezione civile, volontari, ma anche la popolazione. Stanno sviluppando molto l’aspetto relazionale e comunicativo e, oltre a imparare, stanno dando un contributo. Si sentono partecipi di qualcosa di importante.
#unitohomecommunity