Donne assenti nelle task force anti Covid-19, la protesta delle scienziate italiane
Intervista alla Prof.ssa Valeria Poli, docente di Biologia molecolare di UniTo, tra le promotrici della lettera “Questo non è un Paese per donne”
Settantuno scienziate italiane, tra i Top Italian Scientists, hanno portato all'attenzione delle Istituzioni e della pubblica opinione la mancata presenza di donne nelle commissioni tecniche nominate dal Governo a supporto della gestione della pandemia di Covid-19. Lo hanno fatto attraverso una lettera al Corriere della Sera intitolata “Questo non è un Paese per donne”. La Prof.ssa Valeria Poli, docente di Biologia molecolare del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute all'Università di Torino è tra le promotrici e firmatarie del documento.
Prof.ssa Poli, qual è il divario di genere ancora in Italia nei luoghi di "potere" o comunque ai vertici decisionali. E perché esiste ancora questo divario?
Sicuramente il divario c’è ed è molto sensibile nei posti di potere, soprattutto nel pubblico. Per esempio, nelle nomine ai vertici di aziende partecipate. Le donne parlamentari sono il 30% come quelle al governo. Tutte le nomine in questo periodo di emergenza Covid-19 – in commissioni task force, comitati – sono state a netta prevalenza maschile. La task force di Colao ha 4 donne su 17 componenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la lista del nuovo Comitato Tecnico Scientifico (CTS), pubblicata il 20 aprile sul sito della Protezione civile: 21 componenti, tutti uomini. Abbiamo sentito che si doveva fare qualcosa. Il divario c’è. Più ci si avvicina a posizioni di potere, più questo diventa sensibile. In molti ambiti, anche nell'Accademia, ai vertici più alti il soffitto di cristallo resta ancora da rompere.
Con quali criteri, secondo lei, vengono formate commissioni, comitati, consigli?
Per quanto riguarda i vertici delle partecipate, suppongo che si tratti di spartizione di potere né più né meno di quanto avveniva nella Prima Repubblica, ai fini di realizzare strutture omogenee ad alcuni interessi più che ad altri. Evidentemente gli uomini sono più disponibili, o più bravi, a certi giochi. Per quanto riguarda le Commissioni scientifiche, pochi sanno che esisteva già un Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita, in forza alla Presidenza del Consiglio (il cui vicepresidente è una donna). Non è stato consultato nemmeno una volta dal presidente Conte per formare le varie task force. Questo a mio parere succede perché le commissioni pubbliche, formate da accademici riconosciuti dalla comunità scientifica, essendo ufficiali devono essere convocate in modo trasparente; non lo si fa perché magari se ne ignora l’esistenza oppure per avere mano libera. Le nomine avvengono per la maggior parte dei casi per amicizia, conoscenza e posizione di potere, non per merito. Il criterio generale non è trasparente. Riteniamo che questa disparità di genere si correggerebbe quasi automaticamente se ci fossero criteri trasparenti di selezione basati sul merito, perché si vedrebbe che ci sono altrettante donne competenti in materia.
Ritiene ci sia bisogno di un intervento legislativo?
Molte mie colleghe ed io stessa siamo sempre state allergiche alle quote rosa, perché ci sembra di essere panda da conservare. Ma vedendo come sta andando questo Paese, all'indietro invece che in avanti, dobbiamo arrenderci al fatto che ci debba essere una legge che stabilisca che sia vietato formare strutture unisex. Tutti e due i sessi devono essere rappresentati, perché possono fornire visioni diverse e complementari, usarne una sola significa tagliarsi una delle gambe ed è questo gap che l’Italia non vuole comprendere. Privandosi del contributo delle donne a tanti livelli, si rinuncia a oltre il 50% delle potenzialità del Paese. È una questione di convenienza oltre che di civiltà e democrazia. A questo punto, ritengo sia venuto il momento di una legge che sancisca l’impossibilità di formare commissioni unisex, e che ci sia trasparenza nei criteri di selezione che siano basati sul merito.
Quanto può incidere, sul lungo periodo, il modo ancora maschile che hanno di comunicare i media in generale?
Sicuramente anche questo è una conseguenza dello stato arretrato del Paese in questo campo. Tutta la società è così e, quindi, anche i media lo sono. Anche per le giornaliste è più difficile affermarsi rispetto ai colleghi maschi. Se hanno successo, vengono ridicolizzate se non si tingono i capelli e non si truccano. Il giornalismo è ancora molto maschile e affronta questo problema nello stesso modo della società. Nel circolo vizioso attuale diventa poi oltre a una conseguenza anche una causa che perpetua un certo tipo di visione. Vengono, inoltre, intervistati in tv e sulla carta stampata prevalentemente esperti maschi. Non che gli esperti donne non esistano. I media fanno parte di questo circuito non virtuoso che ci sta mantenendo, come donne, ancora ai margini della società.
Il premier ha chiesto di integrare i gruppi di lavoro con scienziate donne è un effetto della vostra protesta?
È effetto non solo della nostra iniziativa, che avevamo diviso in tre parti: mail bombing ai parlamentari, una petizione su change.org che ha raccolto 21mila firme in una settimana e una lettera al Presidente del Consiglio pubblicata sul Corriere, firmata da 71 scienziate nella lista dei Top Italian Scientists, che hanno sostenuto che si dovesse selezionare gli esperti in base al merito, pretendendo equilibrio di genere. Altre iniziative sono state una mozione europea “Dateci voce”, interrogazioni parlamentari, interventi sui media di personalità come Laura Boldrini ed Emma Bonino. Questa volta l’hanno fatta troppo grossa e il presidente Conte se n’è reso conto. Ora, corre ai ripari e spero che verranno selezionate scienziate di valore adeguato per smentire l’idea che non ci siano donne in grado di partecipare a queste commissioni.
#unitohomecommunity