Da Trump a Biden, come cambiano gli Stati Uniti
Intervista al Prof. Marco Mariano, docente di storia e istituzioni delle americhe all’Università di Torino
I quattro anni di presidenza Trump sono stati un unicum nella storia degli Stati Uniti d’America. Oggi, con l’elezione di Joe Biden, si apre una nuova stagione politica, fatta di poche certezze e molte incognite. In che modo cambieranno gli States? Lo abbiamo chiesto al Prof. Marco Mariano, docente di storia e istituzioni delle americhe all’Università di Torino e grande esperto di politica USA.
Prof. Mariano, mentre parliamo non c’è ancora stato il passaggio di consegne tra il Presidente uscente e il Presidente-eletto. L'atteggiamento di Trump di non riconoscere la vittoria di Biden ha dei precedenti storici? Come lo contestualizza?
Quella attuale è davvero una situazione senza precedenti. L’unico precedente, lontanamente paragonabile, risale al voto antecedente alla guerra civile, quando non venne riconosciuta la vittoria di Abraham Lincoln. È una situazione grave e anomala, che si contestualizza nell’enorme polarizzazione tra gli schieramenti. C’è una forte tendenza al non riconoscimento reciproco, praticata nel tempo dall’amministrazione e dal Presidente uscente. Tutto ciò è sfociato non solo nel chiedere il riconteggio dei voti in alcuni stati dove il margine è molto stretto, come la Georgia, ma anche nel disconoscimento del risultato, che diventa in realtà sempre più netto man mano che il conteggio dei voti volge al termine. È la conseguenza di questa progressiva e totale polarizzazione.
In una recente intervista, l’Alto Rappresentante per la politica Estera dell’Unione Europea, Joseph Borrell, ha detto che con Biden USA e UE torneranno alleati. Ci prepariamo ad una nuova stagione della cooperazione internazionale?
Molti analisti concordano sul fatto che ci saranno dei mutamenti in politica estera. Probabilmente il rapporto tra USA e UE sarà uno degli scenari che cambierà di più, perché da parte di Trump c’è stata una linea fortemente anti-europea. Lo si vede con la polemica sulle tariffe e sui cosiddetti aiuti di stato all’industria aeronautica. Lo si è visto anche con il sostegno aperto dato da Trump alla Brexit. È presumibile che con Biden le cose cambieranno in modo sostanziale, con un ritorno degli Stati Uniti al dialogo sia con l’Unione Europea sia con le principali capitali del vecchio continente, cosa che con Trump era sparita. Ad esempio, il rapporto di Trump con la Germania è stato molto difficile in questi anni. Anche per quanto riguarda la Nato, che è un altro pezzo importante del rapporto transatlantico, è presumibile il ritorno a una collaborazione multilaterale. C’è da dire però che l’aspettativa statunitense di un maggior contributo dei paesi europei alla Nato rimarrà, ma all’interno di una cornice più collaborativa.
Cosa ne sarà degli accordi di Abramo, uno tra i maggiori traguardi raggiunti da Trump in politica estera, e delle relazioni tra Usa e medio oriente?
Gli accordi di Abramo sono stati un successo importante dell’amministrazione Trump, direi il più importante in tema di politica estera. Anche se è difficile sostenere che siano davvero un passaggio storico, perché hanno sostanzialmente ratificato e ufficializzato una tendenza già in corso, ovvero la collaborazione tra Israele e le monarchie del Golfo in funzione anti-iraniana. Da questo punto di vista, con Biden non ci sarà un ribaltamento, anzi è prevedibile una continuità. Il rapporto con Israele rimane strategico per quanto riguarda gli interessi degli Stati Uniti nella regione. Ciò che è ipotizzabile è l’attenuamento della linea anti-iraniana, che invece è stato uno dei tratti peculiari della politica di Trump. Ricordiamo esempi come l’uscita dagli accordi sul nucleare stipulati dalla presidenza Obama, o l’omicidio del generale Qasem Soleimani. Con Biden è probabile che questa linea anti-iraniana si attenui. Sicuramente il medio oriente è stata una delle aree in cui l’amministrazione Trump aveva puntato molto, provando a ricostruire quelle alleanze tradizionali, cioè Israele e Arabia Saudita, che con Obama erano state messe in discussione.
Altre incognite riguardano i rapporti con la Cina. Cosa dobbiamo aspettarci?
Sul dossier USA-Cina molti osservatori concordano nell’ipotizzare una continuità abbastanza forte nel passaggio da Trump a Biden. In primo luogo perché c’è un consenso, diffuso e bipartisan, all’interno degli Stati Uniti nel riconoscere la Cina come un competitor sistemico, di fronte al quale bisogna cambiare linea e attuare posizioni più intransigenti. In particolare riguardo il modo in cui la Cina ha utilizzato o, secondo i critici, approfittato dell’ingresso nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), grazie al quale il dragone starebbe ostacolando l’accesso nel suo mercato interno agli interessi americani. Sono temi sui quali c’è un sentimento anti-cinese molto diffuso, anche a livello di opinione pubblica. Sicuramente spariranno alcuni eccessi polemici, come la definizione del Covid-19 quale “virus cinese”, ma è difficile ipotizzare che Biden abbia intenzione di ribaltare o cambiare l’atteggiamento nei confronti di Pechino.
Passiamo alla politica interna. L’amministrazione Trump ha rivendicato notevoli successi in campo economico, come l’aumento dei posti di lavoro e la conseguente riduzione della disoccupazione. In questo caso ci sarà continuità tra le due amministrazioni?
È molto difficile ipotizzare quali saranno i margini di manovra di Biden, perché non sappiamo ancora la situazione nel Senato, determinante soprattutto per le politiche economiche e sociali. Fino a quando non conosceremo gli esiti del ballottaggio dei due seggi in Georgia è impossibile sapere se il Senato avrà una maggioranza repubblicana o, invece, si attesterà su una situazione di parità tra Repubblicani e Democratici. Nel caso ci sarà parità, questa potrebbe essere risolta dal voto del vicepresidente Kamala Harris, dunque uno scenario più favorevole alla Casa Bianca. Altrimenti l’amministrazione Biden dovrà fare i conti con un senato ostile. Detto questo, i risultati della politica economica di Trump sono stati in sostanziale continuità con il secondo mandato dell’amministrazione Obama. C’è stata una tendenza nel medio periodo alla crescita e alla riduzione della disoccupazione. Il cambiamento significativo di Trump ha riguardato la detassazione dei redditi alti e il corrispettivo aumento del debito. L’orientamento di Biden molto probabilmente sarà cauto da questo punto di vista, con un inasprimento della tassazione per i redditi più alti. Anche perché Biden deve tenere conto della sinistra del partito democratico, che gli chiede delle azioni in tal senso. Difficilmente però la nuova amministrazione si lancerà in aumenti della tassazione massiccia, perché sarebbero impopolari e perpetuerebbero l’immagine di un Presidente democratico statalista.
Tra gli obiettivi dichiarati da Donald Trump c’era la cancellazione dell’Obamacare, la storica riforma sanitaria realizzata da Barack Obama nel 2010. Con l’elezione di Biden, che di Obama era vicepresidente, quante possibilità ha l’Obamacare di sopravvivere?
Il cosiddetto Obamacare (Affordable Care act) è attualmente sotto la lente della Corte Suprema. La nomina della giudice Barrett, di orientamento fortemente conservatore, che già in passato si era espressa in modo critico nei confronti di alcuni aspetti della legge, fa presagire un possibile ridimensionamento, se non addirittura un affondamento tout court dell’Affordable Care Act. Questo è un altro grande punto interrogativo sulla possibilità, per l’amministrazione Biden, di mettere in atto i suoi programmi di espansione della copertura sanitaria, assicurata dalla riforma di Obama. Con una Corte Suprema composta da sei giudici conservatori su nove, difficilmente l’Affordable Care Act rimarrà intatto così com’è, ma siamo nel campo delle ipotesi, da valutare poi alla luce del modo in cui la Corte si esprimerà.
Un’altra svolta importante avverrà sul clima, con il ritorno degli Usa negli accordi di Parigi. Che impatto avrà l’elezione di Biden sulle politiche green?
Si ipotizza una forte difficoltà per l’amministrazione Biden di un ritorno a politiche aggressive dal punto di vista del cambiamento climatico. Certo, il ritorno degli Stati Uniti negli accordi di Parigi sarà sicuramente importante dal punto di vista simbolico, ma è molto difficile che il governo riesca a legiferare in modo incisivo e continuo nel tempo, tenendo conto degli equilibri politici all’interno del Congresso e, in particolare, del Senato. Bisogna tener conto anche che, negli ultimi quattro anni, sono stati nominati molti giudici conservatori, a vari livelli, che possono frenare l’azione dell’esecutivo. Inoltre, sarà molto difficile mettere in atto concretamente politiche ambientali incisive perché il Paese rimane spaccato sul tema.