Cosa Nostra, 'Ndrangheta e Mafia Capitale: Giuseppe Pignatone racconta l'evoluzione criminale in Italia
Il Procuratore della Repubblica di Roma all'inaugurazione del Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione
Oltre quarant'anni di lotta alla criminalità organizzata in Italia. Si può riassumere così la vita professionale di Giuseppe Pignatone, magistrato siciliano classe 1949 che il 19 febbraio ha inaugurato il Master in analisi, prevenzione e contrasto della criminalità e della corruzione (APC), organizzato dall'Università di Torino con gli Atenei di Napoli, Palermo e Pisa in collaborazione con l'associazione Libera. Nella palazzina Einaudi, insieme al Prof. Rocco Sciarrone, docente di Sociologia della Criminalità Organizzata e coordinatore del Master APC, Pignatone ha tenuto la lectio magistralis intitolata "Da Cosa Nostra alla 'Ndrangheta, a Mafia Capitale". Tre esempi di consorterie criminali analizzate da chi ha passato quasi mezzo secolo a combatterle.
"In natura il vuoto non esiste. E non esiste nemmeno nella criminalità". Le parole utilizzate dal Procuratore, attualmente a capo del Tribunale di Roma, servono a introdurre il principio secondo cui, anche se si sconfigge un boss o un clan, bisogna prepararsi a chi prenderà il loro posto. È il meccanismo che rende così difficile il contrasto alle organizzazioni mafiose e che, nel gennaio 1992, con la sentenza della Corte di Cassazione sul Maxiprocesso a Cosa Nostra, sembrava esser stato scardinato. "Poi è arrivato l'omicidio di Salvo Lima a febbraio - continua Pignatone - gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in estate e il tentativo di uccidere Piero Grasso poco dopo. Pensavamo di aver sconfitto la Mafia, invece era iniziato il periodo delle stragi".
Lavorare per più di trent'anni (dal 1977 al 2008) alla Procura di Palermo, prima come sostituto e poi come Procuratore aggiunto, ha dato a Pignatone una visione privilegiata sull'organizzazione di Riina e Provenzano. "All'inizio erano considerati dei pecorari, anche dai miei colleghi. Solo col passare del tempo e con l'aumento della loro forza politica, economica e militare abbiamo preso visione del fenomeno" - dice. Un fenomeno in parte debellato anche grazie a Pignatone, con il capitolo finale della saga dei Corleonesi che porta proprio la sua firma: la cattura di Bernardo Provenzano, l'11 aprile 2006. Dopo 43 anni di latitanza.
"Con la 'Ndrangheta invece si è iniziato a ragionare a livello globale". Lasciata Palermo per diventare Procuratore capo di Reggio Calabria, nel 2008 Pignatone viene catapultato nel paradosso calabrese, dove c'è la Mafia più potente del mondo ma, allo stesso tempo, anche la meno conosciuta. "Grazie al controllo del territorio - spiega - gli 'ndranghetisti sono diventati gli interlocutori privilegiati dei trafficanti sudamericani e asiatici. Non solo, grazie alle indagini abbiamo scoperto delle ramificazioni delle 'ndrine di Rosarno e Siderno a Melbourne, Toronto e in diverse città di Svizzera e Germania". Il riferimento alla strage di Duisburg del 2007 è noto a tutti in aula. Meno noto invece il curioso aneddoto sulla famiglia Pelle, il cui (allora) reggente Giuseppe si mise in testa di "entrare" in politica. "I Pelle, la famiglia egemone di San Luca in Aspromonte, si lamentavano dei propri referenti politici. Decisero dunque di far eleggere i propri affiliati prima in consiglio comunale, poi in consiglio regionale, infine - prosegue Pignatone, con un sorriso ironico - in Parlamento. Insomma: un vero e proprio cursus honorum pianificato negli anni. Fortunatamente non ci sono riusciuti". E a chi gli chiede "come mai?" lui risponde: "Semplice, li abbiamo arrestati prima".
Nel febbraio 2012 Giuseppe Pignatone viene nominato Procuratore capo del Tribunale di Roma. Due anni dopo coordina un'indagine su degli strani intrecci tra politica e criminalità locale, che porta a 28 arresti, 37 indagati e un sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro. È l'inizio di Mafia Capitale. "La difficoltà di questo processo - spiega - è relativa all'applicazione dell'articolo 416bis, quello che punisce l'associazione mafiosa". Una norma pensata da Pio Latorre per combattere Cosa Nostra e che, dal 1982 in poi, è stata utilizzata per contrastare 'Ndangheta e Camorra. Per la prima volta però, il 416bis si è trovato davanti un contesto che mai, prima di allora, era stato considerato mafioso. "Abbiamo cercato di far capire che il mondo di mezzo, a cui fa riferimento Massimo Carminati, o l'operato delle cooperative di Salvatore Buzzi rientrano sotto l'ombrello del 416bis, per tanti motivi" - spiega. L'accusa di associazione mafiosa era caduta nella sentenza di primo grado ma ripristinata dalla Corte d'Appello di Roma, con il ricorso del 2018. Ora si attende il giudizio finale della Corte di Cassazione e Giuseppe Pignatone lo fa con la consapevolezza di chi, tra tre mesi, andrà in pensione. "So che a maggio finirà la mia carriera in magistratura, ma fino a quel momento si lavora. Se abbiamo sconfitto la Mafia corleonese possiamo sconfiggerle tutte".