Coronavirus, come è cambiata la mobilità urbana? Lo dicono i big data
Ne abbiamo parlato con il Prof. Ciro Cattuto, docente al Dipartimento di Informatica di Unito e Condirettore di Ricerca di Fondazione ISI.
Dopo la firma del decreto del 9 marzo che ha esteso in tutta Italia le restrizioni delle zone rosse, il numero di persone che ha lasciato la propria provincia è diminuito del 50% a livello nazionale con punte del 100% nelle province di Lodi, Piacenza, Fermo e Vercelli. Lo rivela la ricerca "Covid-19 Mobility Monitoring project" realizzata dalla Fondazione ISI, dalla società statunitense Cuebiq e dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino. I ricercatori hanno tracciato i movimenti degli italiani attraverso la localizzazione di 170 mila smartphone, riuscendo così a mappare la mobilità dei cittadini nel periodo che va dal 22 febbraio, pochi giorni prima il caso del paziente uno di Codogno, al 10 marzo. I dati utilizzati nel progetto, ovviamente resi anonimi, sono stati forniti volontariamente dagli utenti che hanno espresso il loro consenso a condividere la posizione con la società Cuebiq.
Il gruppo di ricerca ha presentato dei primi risultati, preliminari, ancora non peer-reviewed, e nei prossimi giorni e settimane continuerà ad aggiornare la situazione man mano che l'epidemia, e la risposta ad essa associata, evolveranno.
"I dati di Cuebiq - ha spiegato il Prof. Ciro Cattuto, docente al Dipartimento di Informatica di Unito e Condirettore di Ricerca di Fondazione ISI - ottenuti attraverso il loro programma di data for social good in forma anonima, ci hanno consentito di misurare la riduzione dei flussi di persona fra le province italiane interessate dalle misure di lockdown, dall'inizio dell'epidemia, allo stabilirsi della prima "zona rossa" fino alle restrizioni su scala nazionale. È importante sottolineare che le misure in atto non hanno precedenti: misurare l'effettiva riduzione di flussi, la riduzione della densità di contatti fra individui, e l'andamento temporale di tali quantità può informare modelli predittivi ma anche informare misure simili che verranno man mano prese da altri governi. In questa ottica, il nostro rapporto è stato reso disponibile ai colleghi di tutto il mondo nel minor tempo possibile, mentre lavoriamo a perfezionare le analisi e integriamo i contributi di altri gruppo che stanno lavorando su dati di mobilità ad alta risoluzione. È importante notare che il nostro approccio non intende - e non può, per come è stato progettato - individuare comportamenti riferibili ad individui identificabili".
"Quello che vogliamo fare - ha aggiunto il Prof. Cattuto - è creare degli indicatori aperti che consentano a chiunque stia lavorando su questo problema di avere dei dati in più. Fare quello che molti chiamano Data Collaborative, istituire cioè un perimetro in cui si mettono insieme stakeholder sociali o di salute pubblica, fornitori di dati e centri di ricerca e università che sono in grado di trasformare questi dati in conoscenza e in capacità di eseguire decisioni migliori. Il lavoro di cui parliamo è una prima risposta alla "call for action" del Governance Laboratory di New York University (GovLab), informata dalle riflessioni di diversi membri della task force EU su "business-to-government data sharing. La call for action è stata già firmata da oltre 200 accademici e decision maker pubblici, industriali e filantropici".
ASCOLTA L'INTERA INTERVISTA AL PROF. CIRO CATTUTO
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