Coronavirus: “Fin quando non ci sarà il vaccino non ha senso parlare di immunità di gregge”
Intervista a Paola Cappello, docente di patologia generale al Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute di UniTo
Cos'è l'immunità di gregge? Perché è così importante quando si parla di virus? Ma soprattutto: questo meccanismo di protezione può essere utilizzato per fronteggiare il Coronavirus? Facciamo chiarezza su questo tema con Paola Cappello, immunologa e docente di patologia generale al Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell'Università di Torino.
È possibile, con gli attuali test, accertare con precisione che un soggetto sia davvero immune al Covid-19? E, questa immunità, è definitiva?
Ci sono ancora tantissimi dubbi. Ci sono studi in corso, ma non sono stati ancora pubblicati i risultati. Non si sa quale sia la vera risposta immunitaria che viene indotta da parte del Coronavirus: è solo anticorpale? Cioè, chi viene colpito dal virus sviluppa anticorpi che lo neutralizzano, impedendogli di contagiare le nostre cellule? Oppure questi anticorpi sono in grado di attaccare le nostre cellule infette, mediando l’uccisione delle stesse da parte di altre cellule del sistema immunitario? O ancora, sono solo cellule del sistema immunitario che rispondono al virus, come i linfociti T, cioè i “poliziotti” che perlustrano il nostro corpo, e in particolare quelli T citotossici e le cellule Natural Killer? Non è ancora chiaro quale sia il meccanismo di risposta. Per questo, ad oggi, è difficile dire se un individuo che sia guarito dopo l’infezione abbia sviluppato una vera immunità. Immunità significa: aver imparato a riconoscere l’agente patogeno, nel nostro caso il Coronavirus, ed essere in grado di riconoscerlo anche ad un eventuale incontro successivo. Questa è la caratteristica dell’immunità, cioè sviluppare memoria.
Passiamo invece all’immunità di gregge: cos’è e perché è così importante?
In questi giorni se ne parla parecchio, anche se il concetto di immunità di gregge è in realtà molto vecchio. Risale al Sec. XIX, o anche prima, con Edward Jenner e Pasteur che avevano fatto i primi esperimenti di vaccinazione. L’immunità di gregge rappresenta, per tutta la popolazione, una forma di protezione quando la maggior parte degli individui della suddetta popolazione è immune. È un concetto molto legato alla vaccinazione, tant’è vero che era stato coniato proprio in occasione di uno studio sulla diffusione batterica. In questo studio gli scienziati avevano immunizzato (vaccinato) dei topi contro il batterio causa di enterocoliti, per poi mescolarli con dei topi non immunizzati, in percentuali diverse. A entrambe le categorie di topi era stato dato del cibo infettato con lo stesso batterio. Gli scienziati avevano osservato che, in effetti, la sopravvivenza era maggiore nei gruppi dove c’era una maggior percentuale di topi immunizzati. Ecco cosa rappresenta l’immunità di gregge: se la maggior parte della popolazione è immune, quindi ha quella “memoria” di cui parlavo in precedenza, protegge anche chi non è mai stato a contatto con il medesimo agente patogeno. Però, nel caso del Coronavirus, è un po’ assurdo parlare di immunità di gregge, proprio perché non c’è ancora un vaccino.
Quindi, fin quando non ci sarà un vaccino, non ha molto senso parlare di immunità di gregge?
Esatto. Non ha senso fino a quando non ci sarà un vaccino e fino a quando non si saprà davvero se le persone infettate dal Coronavirus avranno sviluppato immunità e memoria.
Strettamente legato al concetto di immunità di gregge c'è quello di comunità. Ma con una pandemia come il Covid-19, a quale comunità ci riferiamo?
Con la mobilità di oggi, quando ci riferiamo a una comunità non bisogna parlare di “regionale” o “continentale”. È necessario farlo rispetto alla comunità mondiale. Per questo si discute di rendere il vaccino disponibile a tutta la popolazione del pianeta. Solo così si potrà debellare il Coronavirus, così come in passato è stato fatto con il vaiolo.
Sempre in riferimento all’immunità, che differenza c’è tra il Coronavirus e altri virus del passato, come Ebola o Sars1?
Ogni virus è associato al famoso R0 (“erre zero”), cioè al fattore che indica la potenza di contagio. Abbiamo avuto virus come quello del morbillo, non ancora debellato, che ha un R0 altissimo, perché ogni individuo infetto può infettarne altri 12, 15, 18, a seconda delle aree geografiche. Quelli influenzali invece, ovvero quelli che provocano le tipiche influenze stagionali, hanno un R0 molto basso, circa 1,5-1,8, il che vuol dire che una persona infetta ne può infettare una e mezzo. Per altri virus, come Ebola, R0 si piazza intorno al 2, quindi ogni persona infetta a sua volta può infettarne altre 2. Ciò comporta che dev’esserci una percentuale di popolazione immune, come dicevo prima, diversa a seconda del potere di contagio, dil R0 appunto. Se R0 è molto alto, come nel caso del morbillo, occorre che quasi tutti siano vaccinati per evitare che il contagio si espanda. Per i virus influenzali invece la percentuale si dimezza, arrivando al 40-45% di vaccinati per poter proteggere i soggetti non immuni.
Come ha reagito quando il Premier inglese Boris Johnson ha proposto di lasciare aperte tutte le attività per ottenere l’immunità di gregge?
Rispetto al Coronavirus, io mi associo a quelli che dicono che è assurdo pensare di acquisire in modo “naturale” l’immunità di gregge riaprendo tutte le attività. Il ragionamento è semplice: se non sappiamo ancora se, chi è infetto, possa o meno essere infettato di nuovo, non possiamo definire tale soggetto immune. Quindi, come facciamo a creare un’immunità di gregge? Aggiungo: finché non ci saranno i vaccini, e fin quando non si vaccinerà la maggior parte della popolazione mondiale, parlare di immunità di gregge è un azzardo. Le persone che puntano all’apertura, per creare l’immunità di gregge, tengono conto dei guariti ma si dimenticano dei tanti morti. Un’operazione del genere verrebbe fatta a scapito di molte vittime che, invece, potrebbero essere salvate e metterebbe di nuovo a dura prova il sistema sanitario, in quanto si incorrerebbe ciclicamente in epidemie.
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