Coronavirus e pieni poteri: "Il caso Orbán non è replicabile in Italia"
Intervista a Francesco Pallante, docente di Diritto Costituzionale
Dopo aver messo in ginocchio l’economia e il sistema sanitario del nostro Paese, il Covid-19 rischia di avere altre ripercussioni. Come quanto accaduto in Ungheria, dove il Premier Viktor Orbán ha chiesto e ottenuto i “pieni poteri” per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Ne abbiamo parlato con Francesco Pallante, docente di Diritto Costituzionale.
Dopo il caso Orban in Ungheria, c’è la possibilità che una situazione simile si verifichi anche in Italia? La nostra Costituzione consente a un singolo soggetto di avere “pieni poteri”?
Nel nostro ordinamento costituzionale una misura di questo genere non potrebbe essere adottata. Ci sono diversi ordinamenti giuridici in cui sarebbe possibile, non solo quello ungherese. Per esempio, le Costituzioni di Francia, Spagna, Portogallo e Germania prevedono lo stato di emergenza, lo stato d’assedio o altre formule di questo genere. In Italia se n’è discusso durante l’assemblea Costituente, con due ipotesi: una riguardava la possibilità di adottare un quadro normativo speciale per le calamità naturali; l’altra per fronteggiare lo stato d’assedio, inteso come una situazione in cui l’ordine pubblico potesse degenerare. La cosa interessante del dibattito costituente è che, seppur ognuno con la propria idea, tutti avevano in mente lo stesso pericolo da fronteggiare: come evitare l’uomo solo al comando. Una parte dei padri costituenti voleva regolare la materia con previsioni normative, proprio per evitare degenerazioni in via di fatto; un’altra parte invece chiese che in Costituzione non fosse nemmeno prevista un’ipotesi del genere. Entrambi gli schieramenti quindi erano molto preoccupati che, in futuro, qualcuno ottenesse i pieni poteri. Anche perché ciò significherebbe negare il costituzionalismo, prima ancora che la Costituzione. Alla fine il dibattito portò alla previsione di alcuni strumenti che, o in casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77) o in caso di guerra (art. 78) consentano di intervenire. Ma sempre con stretto controllo parlamentare. La saggezza dei padri costituenti è stata proprio questa: non inserire nella Costituzione uno strumento di cui poi qualcuno, in futuro, avrebbe potrebbe abusare.
In questo periodo “l’abuso” sembra riguardare l’utilizzo dei DPCM, atti secondari che però vanno a limitare dei principi costituzionali: com’è possibile?
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) è un atto normativo secondario, se per primari consideriamo gli atti normativi legislativi (leggi, decreti legge e decreti legislativi delegati). Il DPCM, come tutti gli altri decreti ministeriali, può essere adottato se c’è un fondamento legislativo, cioè un atto primario che li autorizza. Prediamo ad esempio il principale diritto che, in questo periodo, è stato sospeso, il diritto alla libera circolazione ex art. 16 della Costituzione: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.Per limitare la circolazione dei cittadini si fa espressamente riferimento a un atto legislativo, sia esso una legge, un decreto legge o un decreto legislativo. Tutti atti che richiedono l’intervento del parlamento, organo in cui i cittadini sono rappresentati e – idealmente – coinvolti. Diverso il ragionamento se, a limitare un principio costituzionalmente riconosciuto, sia un atto secondario come il DPCM. In questo caso si tratta di un atto adottato da un membro del Governo, un organo costituzionale non direttamente rappresentativo.
Quindi c’è un problema di incostituzionalità?
In realtà no. Quando la Costituzione prevede che solo la legge sia deputata a disciplinare la materia, si parla di riserva di legge assoluta. In alcuni casi però, è possibile che la legge si limiti a definire le regole generali e, a sua volta, consentire ad atti secondari di entrare nel dettaglio. In questo caso si parla di riserva di legge relativa. I costituzionalisti non sono tutti d’accordo riguardo alla riserva di legge prevista dall’articolo 16, per alcuni è assoluta, per altri è relativa. Ma una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che si tratta di una riserva di legge relativa. Quindi, in materia di limitazioni alla libera circolazione dei cittadini, una legge stabilisce le suddette limitazioni in linea generale e, in seguito, atti secondari come il DPCM intervengono nel dettaglio. È proprio quello che è successo: il governo, visto il carattere di straordinarietà e urgenza, aveva emanato un primo decreto legge (n° 6 del 2020) in cui prevedeva che il Presidente del Consiglio potesse adottare tutte le misure necessarie per contenere la pandemia. Il problema è che non erano specificate le materie, quindi si trattava di una sorta di delega in bianco al Presidente Conte.A molti questa misura è parsa un’eccessiva attribuzione di poteri. Invece, con il nuovo decreto legge (n° 19 del 2020), quello attualmente in vigore che ha abrogato il precedente, sono state già previste in astratto le misure che il Presidente del Consiglio può adottare in concreto, facendone un elenco molto puntuale. Quindi, con il secondo decreto legge, possiamo dire che è stato corretto il vulnus formale, rispettando la riserva di legge relativa.
L’utilizzo eccessivo di DPCM rischia di svuotare il Parlamento delle sue funzioni? C’è la possibilità di creare un precedente pericoloso?
Il Parlamento, quando ha convertito in legge il primo dei due decreti lo ha fatto in maniera molto frettolosa, senza un dibattito adeguato. Sicuramente c’è un problema, perché il Parlamento non sta svolgendo il suo ruolo nella pienezza delle sue funzioni costituzionali, cosa che invece il Governo sta facendo, quasi anche a colmare il vuoto lasciato dall’organo legislativo. Parlare di un precedente pericoloso però non mi pare corretto. Si tratta di una situazione eccezionale, con caratteristiche molto precise. È in gioco il diritto alla vita, un diritto che prevale su tutto ed è la precondizione per godere degli altri diritti. Insomma, me ne faccio poco del diritto all’istruzione se non sono vivo… Quindi fatico a pensare che possano venire utilizzati gli stessi strumenti quando si tornerà all’ordinario. Tuttavia, se si fosse scelto di agire, anziché con il DPCM che è un atto di una persona singola, attraverso un atto del Governo inteso nella sua interezza, si sarebbe avuta una maggiore discussione interna all’esecutivo, dove c’è una pluralità di forze politiche e di sensibilità. Ma, soprattutto, gli atti secondari dell’intero Governo non vengono emanati dal Presidente del Consiglio, bensì dal Presidente della Repubblica. Quindi ci sarebbe stata una collaborazione tra due organi costituzionali, seppur ridotta all’essenziale.
A proposito del Presidente della Repubblica: quanto è importante la sua figura in questo momento?
È molto importante. Non dimentichiamoci che il Presidente della Repubblica è il rappresentante dell’unità nazionale, sulle cui spalle grava l’onere di essere un riferimento condiviso da tutti. In un momento così delicato, in cui le persone hanno giustamente paura, Sergio Mattarella sta sempre più diventando un riferimento sul piano personale. Anche grazie al quel fuorionda, in cui si sistema i capelli, si è creata una carica umana tutt’intorno alla sua figura che ha dato molto conforto. Dal punto di vista strettamente istituzionale, invece, non vedrei male un suo maggiore coinvolgimento. Non ho indiscrezioni di palazzo, ma credo che dietro le quinte il Presidente della Repubblica sia sempre coinvolto e informato sulle misure che vengono adottate. Se oltre a questo ci fosse anche un maggior coinvolgimento formale nelle misure adottate, come ad esempio utilizzando Decreti del Presidente della Repubblica (DPR), anziché DPCM, questo potrebbe essere un ulteriore elemento di rasserenamento generale. Mattarella è un costituzionalista e il costituzionalismo nasce proprio con l’obiettivo di combattere l’assolutismo, cioè la concentrazione del potere. E il potere, più lo si diffonde, più lo si separa, più lo si condivide, meglio è.
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