Come la fotocatalisi ci può aiutare nella lotta contro il Covid
Partendo dal progetto sperimentale in una scuola di Rivoli, ne discutiamo con il Prof. Elio Giamello, docente di Chimica generale e inorganica all’Università di Torino
La luce può aiutarci nella lotta contro il virus che causa il Covid-19. Non si tratta di un talismano o di un incantesimo ma di ricerca scientifica e di ingegnerizzazione tecnologica. Parliamo di fotocatalisi con luce visibile in grado di inattivare batteri, virus e agenti inquinanti. Questa tecnologia è stata per la prima volta utilizzata in una scuola italiana come ulteriore strumento di difesa contro la diffusione del Coronavirus. Si tratta dell’Istituto superiore Giulio Natta di Rivoli, in provincia di Torino, dove in 27 aule sono stati installati 112 dispositivi per la sanificazione dell’aria. Ne parliamo con il Prof. Elio Giamello, docente di Chimica generale e inorganica all’Università di Torino, che ha coordinato il progetto di ricerca.
Professor Giamello, cos’è la fotocatalisi?
La fotocatalisi è un pezzo della moderna scienza catalitica che nasce intorno agli anni Settanta e si sviluppa fino a oggi. Uno dei pionieri mondiali è stato il Prof. Ezio Pelizzetti, rettore dell’Università di Torino dal 2004 al 2013. La fotocatalisi unisce il fenomeno della catalisi eterogenea, il ruolo di determinati solidi nel facilitare reazioni chimiche (la marmitta catalitica, ad esempio, dove catalizzatori trasformano sostanze inquinanti in non più nocive), e il termine foto, ovvero un solido che produce processi chimici e in più utilizza la luce. Una parte dell’energia che serve per innescare una reazione chimica invece che essere fornita termicamente viene fornita dai cosiddetti fotoni, i quanti luminosi contenuti nella luce. Questo approccio è diventato importante in alcuni settori come l’abbattimento di inquinanti.
Come i processi di fotocatalisi possono essere utilizzati nella lotta contro il virus del Covid-19?
Oltre agli effetti di abbattimento di molecole inquinanti per ossidazione, la fotocatalisi ha effetti di tipo biocida, antimicrobico e disinfettivo. Negli studi sulla fotocatalisi questo fu inizialmente visto sui batteri, fonte di molte infezioni: agiva danneggiandone la membrana. In seguito, furono fatte osservazioni sui virus, le cui capsidi possono venire attaccate durante il processo fotocatalitico producendo l’inattivazione della entità patogena.
Nell’Istituto superiore Giulio Natta di Rivoli sono stati installate nelle aule di scuola alcune tecnologie che utilizzano la fotocatalisi, di cosa si tratta?
La fotocatalisi classica usa in grande parte il biossido di titanio, il fotocatalizzatore per antonomasia. Si tratta di una sostanza che per avere un effetto catalitico ha bisogno di luce ultravioletta. Qualora, però, si volesse fare fotocatalisi indoor iniziano alcuni problemi: la luce ultravioletta è costosa e ha effetti dannosi sull’organismo. Dalla metà degli anni Duemila è stata, allora, sviluppata una nuova generazione di fotocatolizzatori di sistemi che hanno una specifica attività con luce visibile non ultravioletta. I sistemi sono meno attivi di quello con biossidio di titanio con luce ultravioletta, ma se riusciamo a usare luce visibile, come quella del sole, nei processi fotocatalitici possiamo metterli ovunque, perché è quella all’interno in cui viviamo e ci muoviamo e non è pericolosa per gli organismi umani, animali e vegetali. Il nostro gruppo di ricerca di UniTo ha lavorato su sistemi fotocatalici attivi con luce visibile e questa esperienza ha generato un piccolo percorso industriale, che ha ingegnerizzato questa idea costruendo fotocatalizzatori attivi in luce visibile.
L’esperienza di Rivoli arriva da questo percorso: un’azienda toscana, che ha una convenzione di ricerca con l’Università di Torino di cui sono responsabile, ha sviluppato un prodotto ingegnerizzato costituito da una matrice di ceramica in cui viene spalmato il fotocatalizzatore attivo in luce visibile. L’azienda, che ha installato il sistema nella scuola di Rivoli, si occupa di sistemi di illuminazione e ha avuto l’idea di unire la tecnologia di fotocatalisi in luce visibile con le sorgenti di illuminazione a led. Assemblando impianti a led, che illuminano l’ambiente, insieme a dei fotocatalizzatori e a un sistema di aspirazione che fa circolare l’aria, questo effetto di circolazione dell’aria passa sul fotocatalizzatore illuminato depurandola: le entità microbiche vengono così in parte inattivate. Analizzando i risultati, sono stato sorpreso dalla reattività di questi sistemi, che vanno bene in un ambiente chiuso ma non sono un talismano. Se uno è infetto da un virus e abbraccia una persona e starnutisce, il fotocatalizzatore che sta due metri sopra non risolve il problema. Però, avere delle atmosfere indoor pulite, sanificate e controllate è un’idea importante su cui occorre andare avanti e investire.
Quali sono gli altri utilizzi della fotocatalisi nell’ambiente?
Una parte dei processi fotocatalitici ambientali sono di sanificazione degli ambienti acquosi, essendo l’inquinamento delle acque un problema chimico nei nostri Paesi e batterico nei Paesi del Terzo mondo. Un’altra applicazione fondamentale della fotocatalisi è quella per l’energia, che nasce dall’idea di utilizzare l’energia della luce attraverso un fotocatalizzatore per scindere l’acqua in ossigeno e idrogeno. È quella che si chiama fotoscissione dell’acqua. L’idrogeno può essere utilizzato come vettore energetico ideale, perché non emette biossido di carbonio. Un sistema energetico basato sul sole sia per produrre energia elettrica che per produrre energia chimica è necessario per uscire dall’attuale sistema che sta causando problemi enormi se non addirittura catastrofi.