Come la seconda ondata Covid aumenterà il divario sociale
Il Prof. Giuseppe Costa, epidemiologo di UniTo, analizza l'aumento dei contagi e come le nuove misure decise dal governo potranno influire sulla curva, soffermandosi sulla distribuzione geografica degli effetti della malattia nella città di Torino
L’impennata della curva dei contagi nella pandemia da Coronavirus ha imposto nuove misure restrittive. Con il professor Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino, delineiamo gli aspetti salienti della seconda ondata, mettendo a fuoco anche le criticità come, per esempio, l’acuirsi del divario sociale.
Professor Costa, qual è la situazione attuale delle curve epidemiologiche in Piemonte?
È molto simile a quella italiana, perché questa fase della seconda ondata della pandemia si sta esprimendo con la stessa forza in tutte le regioni e c’è un progressivo aumento dei contagi riconosciuti, con un andamento esponenziale nelle ultime settimane e tempi di raddoppio dei casi intorno ai sette-otto giorni. La differenza con la prima ondata è che i tempi di raddoppio sono un po’ più lenti e che ora riconosciamo tanti casi che non trovavamo prima. Se nella prima ondata trovavamo un caso ogni cinque veri, adesso siamo vicini a uno su due. E questo perché l’alto numero di controlli, che si fa a titolo di screening in comunità a rischio (Rsa, ospedali, scuole) insieme a un più intenso contact tracing, ha reso la rilevazione più sensibile e per questa ragione troviamo anche casi meno severi: prima riconoscevamo più che altro i sintomatici. Se oggi è ancora una condizione controllabile dal punto di vista del fabbisogno sanitario, non lo è più quella del tracciamento dei contatti, perché sono così tanti e i servizi di prevenzione, ancorché rinforzati, non sono più in grado di ricostruirne le catene. Se questa linea di crescita esponenziale continuerà, sarà più importante l’impatto sulle strutture di ricovero. Tutto dipende dall’attenzione delle persone e dalle nuove misure di controllo delle attività sociali, che potrebbero appiattire la crescita per mantenerla a livelli tollerabili per il sistema sanitario.
I provvedimenti dell’ultimo Dpcm come e quando potranno incidere?
La logica del decreto punta prevalentemente a moderare l’effetto delle maggiori vie di contagio, visto che la pandemia si muove tra i contatti non protetti fra le persone. Le fonti lavorative e scolastiche di trasmissione non sembrano aver determinato dei peggioramenti particolari nella velocità diffusione del contagio, piuttosto sono le attività sociali e ricreative iniziate con l’estate, con particolare rilassamento delle misure di prevenzione e controllo. Pasti, feste, sport collettivi e, inoltre, i mezzi di trasporto sovraffollati sono diventati i luoghi più a rischio. Quindi, smart working e lezioni a distanza aiutano a ridurre la pressione sui trasporti, dall’altro il doloroso sacrificio di occasioni di tempo libero è giustificato dal fatto che sono vie di contagio. Più gravi di queste misure decise dal Dpcm, possono esserci maggiori restrizioni locali. Le più vulnerabili sono le grandi città e l’attenzione va agli scompensi sul fabbisogno sanitario, che potrebbero non rendere efficace la cura dell’infezione e portare al crollo del trattamento di altre patologie.
E, specificatamente, quanto l’emergenza, con l’aumento dei ricoveri in ospedale, ha impattato sulla cura di altre malattie?
Nella prima ondata è stato molto evidente. Il Piemonte ha guidato uno studio con altre sei regioni che ha dimostrato che in ambito cardiovascolare, oncologico e ortopedico c’è stato il crollo di circa la metà dei ricorsi alle attività ospedaliere, con una diminuzione dei ricoveri per infarto, ictus, interventi ortopedici o sul tumore della mammella. Questo è stato maggiore nelle regioni più colpite dalla pandemia, quelle del Nord. Stiamo valutando se hanno avuto ricadute sugli esiti dei percorsi assistenziali. Quello che sappiamo è il forte impatto sull’offerta dei servizi sanitari e sulle cure appropriate di queste patologie.
La pandemia ha accentuato le disuguaglianze. Qual è l’impatto disuguale sulla salute e quali le fasce più a rischio?
L’impatto sulla salute è stato modesto dal punto di vista dell’infezione da Covid, perché ha colpito in modo paritario ricchi e poveri, ma è apparso molto disuguale per le conseguenze della malattia tra gli infettati. Sono state severe in termini di ricoveri e morti tra le persone di più bassa posizione sociale, come sul loro reddito e sulla deprivazione di risorse e di aiuto. Lo svantaggio sociale è stato una determinante importante degli esiti negativi dell’infezione. Stessa cosa è probabilmente successa nel ritardo delle cure per le patologie diverse dal Covid-19, maggiori per le persone di modesta posizione sociale che avevano meno risorse per ricorrere a vie alternative. Un altro aspetto riguarda gli effetti del lockdown, che ha avuto conseguenze gravi per i ceti meno abbienti relativamente all’occupazione, al reddito familiare, all’isolamento e alla limitazione delle opportunità scolastiche. Attendiamo conseguenze di medio e lungo periodo molto disuguali legate a questi effetti non ancora contabilizzabili.
Questo in una città come Torino si caratterizza nella distanza tra centro e periferia?
Non tutte le periferie sono uguali. Fino a Mirafiori Nord c’è una concentrazione di borghesia urbana e di ceto medio impiegatizio. Sono le periferie a Nord di Dora a essere più vulnerabili, da Aurora a Barriera di Milano, da Lucento a Falchera e Regio Parco, a cui si aggiunge la periferia operaia Mirafiori Sud. Le disuguaglianze a Torino riguardano già tutte le malattie croniche: le geografie del diabete, della broncopneumopatia cronica ostruttiva, dell’infarto descrivono la geografia del reddito. E queste stesse patologie sono quelle che assegnano un particolare grado di suscettibilità alle conseguenze negative della malattia da Covid. Coloro che avevano diabete, infarto e insufficienza respiratoria sono stati i primi morire. In letteratura si sta parlando, infatti, di sindemia, la contemporanea presenza di malattie croniche e conseguenze Covid, che vanno nella stessa direzione del divario sociale.
Ritiene che si sia intervenuti sufficientemente sugli errori della prima ondata, per esempio sul tracciamento?
Il tracciamento è stato quasi impossibile nella prima ondata, invece ben condotto da maggio a settembre. Ora, la situazione è cambiata e c’è una certa resistenza nel riconoscere che un tracciamento sistematico, che parte dai casi e va a cercare i contatti per testarli e isolarli, non è più sostenibile in una fase di ricrescita esponenziale dell’infezione, perché ci sarebbe bisogno di una disponibilità incondizionata di test. Sarebbe opportuno passare a una formula di autotracciamento gestita direttamente dai cittadini e questa funziona se le persone sono bene informate. Così i servizi di prevenzione concentrerebbero le proprie risorse nel fare da intelligence sui focolai e sui meccanismi di contagio più frequenti, su cui sarà fondamentale esprimersi nel caso in cui misure del decreto non saranno in grado di ridurre la curva e sarà necessario intervenire in modo più chirurgico. In questo caso, ci vorranno input da parte della comunità locale con informazioni adeguate sui meccanismi da interrompere con delle misure ad hoc.
L’epidemiologo si trova ad avere, per la natura strettamente legata alla salute pubblica delle malattie di cui si occupa, un ruolo pubblico-comunicativo. Pensa che a livello di comunicazione nei confronti dell’opinione pubblica, sia per quanto riguarda la responsabilizzazione che per la divulgazione scientifica, sia per l’alfabetizzazione medica di base delle masse, ci sia stata da parte della categoria un lavoro di sufficiente qualità in questo contesto, o cosa si potrebbe migliorare?
L’epidemiologia italiana è stata abbastanza attenta alla comunicazione e alla produzione e allo sviluppo di conoscenze scientifiche, con un gruppo di volontari che si sentiva telematicamente ogni tre o quattro giorni per monitorare la situazione, dare suggerimenti e valutazioni. Il problema è che la comunicazione pubblica e i meccanismi di governance, sia a livello regionale che nazionale, seguono logiche non sempre intercettate dall’epidemiologia. Quello che è mancato e manca tuttora sono delle regole del gioco più lineari, esplicite e trasparenti su come le conoscenze scientifiche possono e debbono interagire con le linee di comando in una fase emergenziale. In molte regioni si sono viste linee di comando poco chiare e, dentro queste situazioni non facili, la conoscenza scientifica è stata trattata con sospetto. Da un lato, è mancato un clima di unità nazionale e regionale per mettere insieme le migliori energie; dall’altra, l’umiltà di essere trasparenti nella comunicazione e condivisione dei dati. Condizioni di cui gli epidemiologi hanno bisogno per svolgere il proprio mestiere. Il nostro compito è produrre le migliori stime sui benefici di una scelta o di una decisione. E su questa base lasciare che sia poi la politica e la società a prendere le decisioni più opportune.
Cosa dobbiamo aspettarci dalle curve epidemiologiche nei prossimi mesi?
È difficile da predire. I modelli statistici ci dicono che siamo in una fase di crescita molto spinta ed esponenziale, che potrebbe continuare e diventare più severa nelle prossime settimane, se non si interviene per ridurla. La mia impressione è che ultimamente le azioni legate ai comportamenti dei gruppi sociali possano aver prodotto, insieme alle misure del decreto, degli effetti, che potrebbero servire ad appiattire la curva epidemica, eventualmente con interventi chirurgici, per arrivare alle vacanze di Natale in una situazione più controllata. Se nel giro delle prossime due settimane questo non accadrà, sarà difficile evitare controlli dei movimenti più severi. Non ci resta che aspettare e fare il meglio per appiattire la curva, ivi compresa l’ottimizzazione del processo di ricerca dei casi e dei contatti anche con nuove risorse come i test rapidi, che possono abbattere drasticamente i tempi che hanno limitato il contact tracing. È un augurio, in attesa che nella prossima primavera arrivino presidi terapeutici o profilattici importanti.
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