Scoperto ZNF398, il gene “conservante” delle cellule staminali umane
Pubblicato su Nature Communications lo studio realizzato dai team di ricerca delle Università di Padova e Torino
Uno studio, finanziato dalla Fondazione Armenise Harvard e pubblicato oggi sulla rivista Nature Communications, ha identificato per la prima volta il gene ZNF398, responsabile della conservazione delle cellule staminali pluripotenti. Queste cellule, preziose per le terapie di medicina rigenerativa, hanno la straordinaria capacità di poter dare origine a qualsiasi altra cellula del nostro corpo. Le cellule staminali pluripotenti indotte vengono generate a partire da cellule adulte in un processo chiamato riprogrammazione.
Lo studio, guidato da Graziano Martello, leader di un laboratorio di ricerca dell’Università di Padova, è stato realizzato in collaborazione con il team di ricerca guidato da Salvatore Oliviero, docente di Biologia molecolare presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e responsabile della piattaforma di analisi genomiche dell’Università di Torino presso il Centro Interdipartimentale di Biotecnologie Molecolari (MBC) e l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM) di Candiolo (Torino), ente strumentale della Compagnia di San Paolo.
Per essere conservate, le cellule staminali vengono generalmente congelate. Ma, una volta scongelate, è essenziale mantenerle prima di farle differenziare nelle cellule desiderate, ad esempio in neuroni. In che modo viene mantenuta la stabilità delle cellule staminali? La risposta a questa domanda fino ad oggi è stata trovata soltanto in maniera empirica. Gli scienziati sanno che per conservare le staminali scongelate occorre aggiungere ogni giorno una particolare molecola, chiamata TGF-beta, che agisce da inibitore e impedisce alle cellule di differenziarsi. Eppure prima del nuovo studio su Nature Communications non si conosceva ancora come funziona esattamente questo processo di conservazione delle staminali.
Il team padovano e quello torinese hanno scoperto il motivo per cui la proteina TGF-beta funziona: quando viene somministrata attiva un particolare gene, nome in codice ZNF398, responsabile del mantenimento delle cellule staminali pluripotenti. Questo gene agisce dunque da “conservante” delle staminali, e la sua presenza può essere considerata una cartina tornasole del buon funzionamento delle iPS. Un traguardo fondamentale, che permetterà a molti laboratori in tutto il mondo di migliorare il loro processo di mantenimento delle staminali umane una volta scongelate.
«Questa scoperta è frutto di 5 anni di lavoro - spiega Graziano Martello - e il gene che abbiamo identificato è quello che da solo permette di mantenere le staminali indifferenziate. Per scovarlo abbiamo confrontato il comportamento delle cellule staminali in presenza o assenza della proteina TGF-beta, e abbiamo isolato i primi geni che nelle staminali sembravano essere influenzati da questa proteina. Abbiamo così selezionato circa 4.000 geni, ridotti a 15 attraverso una serie di validazioni. A quel punto li abbiamo provati sperimentalmente uno a uno. Per ciascun gene sono serviti circa due mesi di lavoro, e quindi la fase di test è durata in tutto quasi due anni. Alla fine degli esperimenti non avevamo più dubbi: ZNF398 era il gene che cercavamo. Il nostro studio non servirà a una specifica malattia, ma avrà un impatto su tutte le malattie che oggi vengono studiate grazie alle cellule staminali pluripotenti».
"Con questo studio – dichiara Salvatore Oliviero – il nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con il laboratorio del Prof. Martello, ha contribuito a chiarire il ruolo della molecola ZNF398, a mappare sul genoma di cellule staminali la sua interazione con il DNA. Abbiamo dimostrato che ZNF398 è un effettore nucleare del fattore intercellulare TGF-beta. Su cellule staminali TGF-beta induce il mantenimento della pluripotenza mentre ha effetti diversi su cellule differenziate normali o su cellule tumorali. Identificare i suoi effettori nucleari ci permette di comprendere i meccanismi molecolari che determinano la pluripotenza, il differenziamento cellulare ed anche la trasformazione tumorale”.
Questi risultati valgono anche nell’ambito della riprogrammazione delle staminali. Il metodo utilizzato dal team di Martello è la cosiddetta microfluidica, una tecnologia che permette di coltivare le cellule in piccoli tubi di silicone biocompatibile, e che recentemente ha permesso ai ricercatori padovani di generare per la prima volta cellule staminali pluripotenti “primitive” (simili a quelle degli embrioni) a partire da cellule adulte. Gli scienziati hanno infatti provato a generare iPS disattivando il gene ZNF398, e hanno visto che in quel caso le staminali non si formavano correttamente. La riprogrammazione delle staminali richiede dunque l’attività del gene ZNF398 per funzionare con successo. Il che avrà possibili applicazioni per tutti i laboratori che utilizzano cellule staminali a scopi terapeutici.