Addio a Carlo Federico Grosso
Carlo Federico Grosso è stato uno dei più noti avvocati penalisti italiani e Professore emerito dell'Università di Torino
Chi, come suo allievo, ha avuto la fortuna di condividere tanti momenti della propria esperienza professionale e di vita – addirittura sin da studente, e poi da giovane ricercatore, avvocato, professore – con il Prof. Carlo Federico Grosso, non può che provare un profondo imbarazzo, a fronte della richiesta di rievocarli, quei momenti. Imbarazzo perché oggi la tristezza sembra tutto coprire. Ma anche per la troppo profonda ricchezza, ed anche intimità, di quella storia. Certo, una consapevolezza emerge con prepotenza: egli si è “preso cura” di tutta la mia vicenda professionale, dall’assegnazione del titolo della tesi laurea (nel 1979) sino al ritorno all’Università di Torino, come professore ordinario, nell’aprile dello scorso anno. Quarant’anni. Tutta la mia vita universitaria.
Ma non solo. Perché anche come avvocato ha avuto modo, in maniera un po’ particolare, di prendersi cura. Una quindicina di anni or sono, avevo deciso di (ri)prendere l’attività forense. Un pomeriggio incontro il prof. Grosso per ragioni di ricerca (stavo scrivendo una monografia). Discutiamo a lungo di tutto: l’impostazione di fondo, i contenuti, l’approccio “politico-criminale” ai temi affrontati (come sempre, se si aveva l’ardire di fare ricerca con lui), ed il tempo passa. Quando finalmente sembra che tutto sia chiaro, mi guarda fisso, e dice (più o meno testualmente, che certe parole non si scordano): «Petrini, ora devo dirle una cosa. Io non ho nessun titolo o autorevolezza per parlarle della sua attività professionale. In ambito accademico, certo che ce l’ho! Ma qui no. Però mi autorizzo ugualmente a dirle una cosa [la chiamò così: non un consiglio, un avvertimento, ma “una cosa”, dando prova di una non sempre riconosciuta mitezza]. Faccia attenzione. Nella professione, come in guerra, cercheranno di fregarla in tutti i modi. Penseranno che lei è un professorino inadeguato e poco difeso, ci proveranno in tutti i modi. Lo hanno fatto anche con me. Faccia attenzione: lei non si rende conto. E sa perché? Perché qui ci sono i soldi. Ci sono i soldi, di mezzo.». Poi non attese replica, si alzò e ci salutammo.
Non so, oggi, se sono più grato per quella “cosa” (che mi ha salvato tante volte la pelle, nelle aule di tribunale, per mantenere la metafora bellica) o per l’ennesima presa in cura, questa volta proprio gratuita, cioè non imposta dal ruolo o dalle gerarchie. Che saggio aiuto, quello che mette in guardia dal potere, devastante, dei “soldi”!
Basta. È bene interrompere. È bene rispettare, e far riemergere, il silenzio.
(Testo redatto grazie al contributo del Prof. Davide Petrini)