La ricerca scientifica "cuore e ragion d'essere" nell'Università di Pelizzetti
di Mario Dogliani
Ezio Pelizzetti era uno scienziato di fama internazionale prima ancora che un Rettore che ha guidato per nove anni l’Ateneo torinese. Per lui la ricerca scientifica era il cuore e la ragion d'essere dell'Università. Con questa parola d'ordine fu eletto Rettore nel 2004, con una larga maggioranza, e fu rieletto nel 2008 al secondo mandato, senza concorrenti e con un vero e proprio plebiscito.
Che la missione principale dell’Università sia la ricerca - dalla quale deriva l'adeguamento della didattica alle più recenti acquisizioni scientifiche, e dalla quale sola conseguono l'innovazione sociale ed economica e l’impegno degli Atenei verso le necessità delle comunità e dei paesi in cui operano - era un convincimento che Ezio Pelizzetti aveva maturato già collaborando con il Rettore Rinaldo Bertolino sia come Vicerettore alla ricerca sia come responsabile di parte pubblica nel dialogo con le forze sindacali.
Il suo merito più grande, considerati i mali di cui soffre la società italiana, e con essa l'Università, fu di preparare il terreno per il "tranquillo" esercizio della passione per la ricerca. Senza questa tranquillità, senza una visione non angosciata del futuro - qual è quella che lo pensa dominato dall'arbitrio - niente di duraturo e serio può essere costruito. Pelizzetti raggiunse questo scopo cancellando quella paura, e dunque quella ostilità reciproca, che deriva dalla lotta per ottenere quanto più possibile qui, ora, subito: perché domani non si sa che cosa accadrà. Il suo capolavoro fu infatti il piano matematico/organizzativo per il reclutamento dei docenti e ricercatori. L’esperienza di gestione maturata precedentemente gli consentì, una volta approdato al rettorato, di creare un sistema di distribuzione dell’organico basato sulle cessazioni e i pensionamenti previsti dall'anno 2004 al 2012. Un piano molto semplice, ma rigorosamente matematico, senza spazio alla discrezionalità, e dunque alle lotte intestine. Una quota fissa delle spese per stipendi cessati (a causa dei pensionamenti...) veniva restituita al bilancio generale dell'Università. Un'altra quota (il 70%) veniva distribuita alle facoltà, nella stessa proporzione delle cessazioni intervenute in ciascuna di esse. Leggere correzioni erano previste per riequilibrare il rapporto tra le facoltà più numerose e quelle più giovani, e quindi più sguarnite; o per colmare lacune oggettive, come quella dell'assenza, a Torino, città che ospita il Museo Egizio, della copertura di un cattedra di egittologia.
Ho presieduto per molti anni, per quasi tutta la durata del suo mandato di Rettore, la Commissione organico dell'Ateneo, e posso giurare che mai vi furono, in quella Commissione - prima giudicata la più turbolenta - recriminazioni, liti o manifestazioni di inimicizia. Tutto si svolse, sempre, nel massimo accordo, calmo e composto.
Negli anni del rettorato di Pelizzetti l’Università di Torino non solo ha continuato costantemente a crescere nel numero di studenti e a mantenere costante il terzo o quarto posto nelle classifiche dei mega-atenei italiani, ma ha portato a termine uno straordinario piano edilizio di cui il Campus Luigi Einaudi, il completamento della sede di Economia, le aule a Torino Esposizioni, il Palazzo degli Stemmi, l’Aula Magna della Cavallerizza non sono che le realizzazioni più evidenti.
Pelizzetti fu rieletto plebiscitariamente anche per avere dato l’immagine positiva di un rettore disinteressato al proprio tornaconto, incapace di concepire il governo dell’Ateneo in modo autoritario e capace, invece, di accettare il parere contrario degli organi di governo su alcune sue iniziative; mai sensibile alle lusinghe e alle sirene della politica cittadina e regionale anche quando ciò avrebbe potuto significare per lui vantaggi concreti e di immagine.
Alla fine del suo mandato, prolungatosi di un anno in forza alla legge Gelmini (quella stessa legge rispetto alla quale Pelizzetti era stato giustamente e coraggiosamente critico anche in controtendenza ai cedimenti opportunistici della CRUI), quando la malattia degenerativa che lo avrebbe portato alla morte cominciava drammaticamente a manifestarsi, con molta difficoltà riuscì a seguire le fasi di elaborazione del nuovo statuto e ciò senza dubbio ha influito sul varo di un testo sui cui squilibri e anomalie di applicazione oggi tutti concordano.
Ma i dolorosi impedimenti degli ultimi mesi non intaccano per nulla la positività di un rettorato che anche nei momenti più complessi ha saputo tenere saldo e difendere il ruolo dell’Università come principale agenzia della ricerca, come veicolo fondamentale di formazione non solo disciplinare ma anche civile ed etica, come motore di sviluppo della città e della regione in cui opera in un quadro sempre più nazionale, europeo e internazionale.
Per questa chiarezza sugli obiettivi di lungo termine, negli organi di governo dell'Ateneo si respirava un buon clima. Ho già detto della Commissione organico, ma anche in tutte le altre, e nel Senato Accademico. Era, il Senato, un'Assemblea cui partecipare costituiva non solo un onore, ma un piacere: si respirava un'aria cordiale, di "voler fare", e di legittimo orgoglio.
Ricordo un tardo pomeriggio d'estate in cui uscii dalla Sala Allara, sul loggiato del primo piano, e sentii suonare la campana dell'Ateneo: mi sentii - come non mi sentivo più da decenni - "a posto": nel luogo giusto e contento di fare quel che stavo facendo. Devo questo ricordo a Ezio Pelizzetti.