Commemorare è "attrezzarsi culturalmente" per evitare nuovi olocausti
Shoah, gli errori della scienza e le ideologizzazioni: all’Università di Torino psicologia e neuroscienze si raccontano per la memoria
Di Davide Schiffer, Professore Emerito, Università di Torino
La commemorazione della Shoah è una presa di coscienza tardiva della responsabilità che il mondo ha avuto dell’immane disastro umano di molti anni fa. Per gli ebrei essa suona come un superfluo invito a ricordare un Olocausto che sta come il “ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek” del Deuteronomio. Per i non-ebrei essa non dev'essere un invito a provare le stesse emozioni delle vittime, ma all'attrezzarsi culturalmente per non farsi sorprendere in futuro da situazioni analoghe a quelle che hanno condotto alla Shoah.
Siamo alla quarta generazione dalla Shoah e la quasi scomparsa dei testimoni diretti condiziona la transizione della memoria dell’evento da quella individuale, da chi cioè in quell'epoca “c’era”, a quella collettiva e poi a quella storico-culturale. Vista in un’ottica neuro scientifica essa è destinata all'oblio. Non essendo possibile trasferire la memoria di un individuo a quella di un altro e provare le stesse emozioni della generazione delle vittime, l’invito a “non dimenticare”, implicito nella decisione delle Nazioni Unite del 2005, non può essere rivolto ad altro che all'acquisizione culturale da parte delle generazioni future delle cause che hanno generato il disastro.
Pertanto, più che mirare a suscitare emozioni per empatia nella commemorazione, bisogna chiarire le cause dell’anti-giudaismo che esiste fin dai tempi egizi della storia degli ebrei, dell’anti-semitismo europeo e tedesco del secolo XIX, della credenza, figlia dell’epoca dei lumi e del positivismo, nell'esistenza di razze umane. Questa credenza, di per sé non sinonimo di razzismo, lo diventa con l’emissione di giudizi di valore ed è quello che venne effettuato nella Germania nazista in seguito alla diffusione dell’eugenetica, bollando quella ebraica come inferiore e inquinante la razza superiore nordico-tedesca. La dimostrazione scientifica venne data a Hitler da pseudo-scienziati che commisero un errore.
Oggi sappiamo, ma molti scienziati tedeschi lo sapevano già allora, che le razze umane non esistono, come hanno detto Montagu, Edwards, Cavalli-Sforza. La scienza fu tradita, piegata e asservita all'ideologia perché le ideologie necessitano di una base scientifica per essere credute.
Come aveva già detto Primo Levi nel 1973, è questa la meta che la commemorazione della Shoah deve avere: far sì che le future generazioni sappiano come è potuto accadere il massacro nella civilissima Germania di ottant’anni fa e quale fu la sua patogenesi.
Il prof. Schiffer interviene al workshop “Quando questo non è più un uomo: psicologia e neuroscienze si raccontano per la memoria”, che si svolge il 27 e 28 gennaio in Aula Magna Cavallerizza Reale dell’Università di Torino (Via Verdi, 9 - Torino)