I 1000 volti di Lombroso, l'archivio fotografico del Museo di Antropologia Criminale in mostra
Padre fondatore della criminologia, gil archivi di facce di Lombroso dialogano con i cataloghi antichi e moderni di volti che raccontano la mostra #FACCEEMOZIONI. 1500-2020: DALLA FISIOGNOMICA AGLI EMOJI, inaugurata al Museo Nazionale del Cinema il 17 l
Il Museo Nazionale del Cinema di Torino ospita, dal 25 settembre 2019 al 6 gennaio 2020 la mostra I 1000 VOLTI DI LOMBROSO che presenta, per la prima volta al pubblico, una selezione di fotografie appartenenti al fondo fotografico dell’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, in parte restaurate per l’occasione.
Padre fondatore della criminologia, gil archivi di facce di Lombroso dialogano con i cataloghi antichi e moderni di volti che raccontano la mostra #FACCEEMOZIONI. 1500-2020: DALLA FISIOGNOMICA AGLI EMOJI curata da Donata Pesenti Campagnoni e Simone Arcagni, inaugurata al Museo Nazionale del Cinema il 17 luglio scorso, una grande esposizione che, partendo dalla prestigiosa collezione del Museo Nazionale del Cinema, racconta gli ultimi 5 secoli di storia di questa pseudoscienza. Un percorso emozionale tra maschere e sistemi di riconoscimento facciale che conferma ancora una volta come il volto sia il più importante luogo di espressione dell’anima dell’essere umano.
La mostra I 1000 VOLTI DI LOMBROSO è a cura di Cristina Cilli - conservatrice e responsabile dell'Archivio del Museo, Nicoletta Leonardi - storica dell'arte e docente presso l'Accademia Albertina di Torino, Silvano Montaldo - direttore scientifico del Museo e docente presso l'Università degli studi di Torino e Nadia Pugliese - borsista di ricerca presso l’Archivio del Museo e rientra nel quadro delle celebrazioni del decennale dell’apertura del Museo Lombroso.
Ospitata nelle teche conservative al piano +5 del Museo Nazionale del Cinema di Torino, la mostra prevede l’esposizione di 305 fotografie che dialogano con 13 disegni, 2 manoscritti, 1 pannello illustrativo per la didattica e la divulgazione, 1 calco in gesso di un cranio e 1 maschera mortuaria in cera, 2 strumenti scientifici, 2 manufatti realizzati da pazienti psichiatrici, 1 scultura, 11 libri e 1 rivista per un totale di 340 exhibit.
I 1000 volti di Lombroso vuole creare un parallelo tra le numerose fotografie di volti presenti nel fondo e le diverse sfaccettature del pensiero lombrosiano, evidenziando lo stretto legame tra fotografia e ruolo sociale della scienza sul finire del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. Tra il 1860 e il 1909 Lombroso raccolse, grazie alla sua fitta rete di relazioni con criminologi, psichiatri e medici legali, un'enorme quantità di immagini di soggetti appartenenti prevalentemente al mondo della psichiatria e a quello della criminalità.
Queste fotografie furono sistematicamente utilizzate dall’antropologo veronese nella ricerca, nella didattica e nell’ambito di attività espositive finalizzate alla divulgazione scientifica. Com’era pratica comune fra gli scienziati dell’epoca, Lombroso raccoglieva immagini acquistate sul mercato, inviategli da colleghi o da lui stesso commissionate, e usava la fotografia come prova documentaria, dato positivo da associare a misurazioni antropometriche dei crani, disegni, descrizioni biologiche e psicologiche.
Il percorso della mostra, articolata in 5 sezioni, presenta una selezione ragionata di questi materiali seguendo la cronologia delle ricerche di Lombroso: iniziando con gli studi sui malati psichiatrici e sul genio, passando poi per la sua teoria sull’atavismo (secondo la quale alcuni individui presentano i caratteri regressivi tipici dell’uomo primitivo), per le ricerche sul brigantaggio e sul delitto politico, si arriverà al tema della criminologia in rapporto al razzismo con un focus specifico sulla donna delinquente. Il percorso espositivo terminerà con un’ampia panoramica di immagini legate all'identificazione del criminale ovvero alla fotografia segnaletica e alla nascita della Polizia scientifica.
LE SEZIONI DELLA MOSTRA
Alla sezione introduttiva, contenente una selezione rappresentativa delle diverse tipologie di fotografie raccolte da Lombroso, una macchina fotografica, uno stereografo per il disegno del profilo del cranio, una maschera mortuaria in cera di un detenuto, scritti scientifici e divulgativi, un ritratto a disegno, segue la prima sezione dedicata all’immagine del folle e alla nascita dell’antropologia criminale. Le decine di fotografie dei malati psichiatrici raccolte da Lombroso sono qui documentate con alcuni ritratti di alienati scelti fra quelli giunti all’antropologo criminale da vari istituti psichiatrici italiani. Lombroso utilizzò lo studio del volto insieme ad altre forme di evidenza (come i tatuaggi presenti sui corpi dei criminali da lui accomunati a quelli delle “popolazioni primitive”), per formulare la sua teoria del delinquente atavico, una sorta di moderno selvaggio riconoscibile da una serie di caratteristiche fisiche. Lombroso pretese di fondare un nuovo ramo del sapere, l’antropologia criminale, illustrata nel volume L’uomo delinquente (1876), la cui quinta edizione (1896) fu corredata da un Atlante contenente centinaia di ritratti di criminali e alienati. Due manufatti (pipe in legno) di “mattoidi” (Lombroso chiamava così gli alienati con estro artistico) e il calco in gesso del cranio di Alessandro Volta testimoniano inoltre le ricerche dell’antropologo sul rapporto fra Genio e follia (1864), la sua convinzione cioè che la creatività artistica fosse una nevrosi.
La seconda sezione è dedicata a brigantaggio, delitto politico, criminalità minorile. A supporto delle sue teorie sulla devianza Lombroso utilizzò anche fotografie di briganti, prevalentemente del Sud d’Italia. A questo scopo raccolse un centinaio di ritratti scattati fra il 1861 e gli anni settanta dell’Ottocento, alcuni dei quali presenti in mostra. A testimonianza dell’interesse di Lombroso nei confronti del delitto politico sono esposte una serie di fotografie e disegni che ritraggono anarchici e rivoluzionari, fra cui Anna Kuliscioff, rivoluzionaria in Russia, socialista e femminista in Italia. Insieme ad alcuni suoi collaboratori, Lombroso si occupò anche di delinquenza minorile. Questo filone di ricerca è documentato dalle fotografie che ritraggono i bambini e gli adolescenti senza fissa dimora scattate a Cagliari fra il 1898 e il 1903, i “corrigendi” lombardi, e alcuni giovani rei i cui casi furono sottoposti al giudizio dell’antropologo criminale.
Al tema della donna delinquente è dedicata la terza sezione della mostra, che presenta fotografie di crani di prostitute, immagini scattate all’interno di bordelli, ritratti di prostitute napoletane e argentine, oltre a una serie di carte de visite di delinquenti russe. Insieme al futuro genero Guglielmo Ferrero, nel 1893 Lombroso pubblicò il primo trattato al mondo sulla delinquenza di genere, che venne tradotto in diverse lingue. Andando contro i giudizi precedenti, che vedevano nelle donne un freno al dilagare del delitto, Lombroso e Ferrero criminalizzarono la prostituzione indicandola come la forma di delinquenza più tipicamente femminile. In contrasto con le coeve richieste di parità di diritti civili e politici da parte dei movimenti femminili, i due studiosi affermarono l’inferiorità della donna rispetto all’uomo.
Criminologia, razzismo e omosessualità sono i temi della quarta sezione, nella quale ritratti e fotografie segnaletiche di criminali aborigeni australiani, cubani, egiziani, ebrei, russi, tedeschi, gitani, nonché di donne delinquenti, compaiono accanto a fotografie di “pederasti”, “pervertiti”, “saffiste” e “terzo sesso”. Queste immagini documentano il nesso fra criminologia e razzismo implicitamente presente nelle teorie Lombrosiane, e mostrano il tentativo di definire l’orientamento sessuale in base a categorie con significati stigmatizzanti.
La mostra si conclude con la quinta sezione dedicata alla fotografia segnaletica e alla Polizia scientifica. Nel 1886 Lombroso propose di applicare in Italia i metodi “esattamente governabili” delle scienze alle indagini poliziesche. Il suo invito venne accolto da Salvatore Ottolenghi, che a partire dal 1895 introdusse nel Paese tecniche di investigazione scientifica comprendenti l’uso della fotografia accanto al segnalamento descrittivo, antropometrico e dattiloscopico dei delinquenti e dei presunti tali. Nella sezione sono presenti, insieme a un disegno e una tavola statistica, ritratti di criminali e alcuni esempi di schede segnaletiche contenenti fotografie identificative e impronte digitali.