Ai microfoni di CBC-Radio-Canada il Prof. Giardino racconta il progetto internazionale “ArcticHubs”
Ospite del programma "Culture et Confiture", il docente del Dipartimento di Scienze della Terra ha presentato il progetto sulla sostenibilità dell'Artico e delle Alpi di cui UniTo è partner
“La cultura è come la marmellata: meno ne hai, più la spalmi". Si tratta di un'espressione che sarebbe stata dipinta su un muro della Sorbona nel maggio del 1968 da Jean Delacour, ma è pure attribuita all’umorista francese Pierre Desproges. Le citazioni la riferiscono anche alla scrittrice Françoise Sagan. E, tra le varie versioni, compare pure questa: “La cultura è appetitosa come la marmellata: se ci prendi gusto ne vorresti sempre di più!”. Proprio quest’ultima considerazione guida i talk radiofonici di “Culture et Confiture” ogni sabato mattina su CBC-Radio Canada.
Durante il programma, Mireille Langlois e Celine Gagnon - sotto la direzione di Marc Fournier e Stéphane Gasc – affrontano i temi dell’arte e della cultura delle comunità francofone del Canada occidentale (Alberta, Colombie-Britannique, Manitoba, Saskatchewan, Grand Nord), con un occhio alle problematiche sociali e ambientali globali.
Nella puntata in onda sabato 22 giugno la giornalista Celine Gagnon ha parlato con il Prof. Marco Giardino del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino del progetto “ArcticHubs” presentato al 12° Summit internazionale sul permafrost ICOP2024, svoltosi a Whitehorse, Yukon (Canada) dal 16 al 20 giugno 2024.
La conferenza, focalizzata su “Prospettive integrate sul permafrost: degradazione, cambiamento e adattamento”, ha affrontato gli sviluppi più recenti delle conoscenze sugli ambienti (glaciali, periglaciali, ma non solo) in cui si trovano terreni permanentemente gelati, ovvero che rimangono a una temperatura pari o inferiore a 0°C per almeno due anni consecutivi. Oltre 600 partecipanti provenienti da 28 Paesi diversi, hanno mostrato il loro lavoro attraverso presentazioni, sessioni poster, dibattiti, piattaforme virtuali o esposizioni in stand. I contributi hanno stimolato discussioni tecniche e scientifiche coinvolgenti tra rappresentati del mondo accademico, studenti, professionisti, imprenditori.
Grazie ai contenuti delle presentazioni e ai dibattiti a cui ha partecipato a ICOP2024, il Prof. Giardino ha potuto verificare come le pressioni derivate dal cambiamento climatico e dallo sviluppo economico stiano modificando in modo significativo non solo le regioni polari, ma anche quelle subartiche e montuose dell’intero pianeta. Si registrano deformazioni nel suolo, cambiamenti dei flussi idrici e nel contenuto della materia organica, ma anche instabilità dei versanti e delle infrastrutture che si trovano nelle aree di degradazione del permafrost: tutti fenomeni che a lungo termine possono portare a profonde modificazioni del paesaggio e della sua geodiversità, ma anche delle risorse e dei servizi ad essa correlati e delle stesse possibilità di fruizione del territorio.
Negli ultimi decenni, la degradazione del permafrost sta accelerando e gli impatti si stanno rapidamente moltiplicando. In risposta a tutto ciò, sono stati avviati numerosi progetti di ricerca sul tema, ma anche iniziative economiche e sociali per mitigare le conseguenze sulle comunità e sul lavoro nelle zone sottoposte a degradazione del permafrost. Nel convegno sono stati anche presentati alcuni impegnativi progetti ingegneristici che tentano di porre rimedio ai danni alle infrastrutture.
Nell'intervista a CBC-Radio Canada il prof. Giardino ha potuto illustrare alcuni contributi dell’ateneo tornese alla discussione scientifica svoltosi durante ICOP 2024: un recente inventario di particolari fenomeni di instabilità (colate detritiche torrentizie) legati alla degradazione del permafrost nelle Alpi, progetto coordinato dal CNR-IRPI di Torino; la metodologia e i risultati del Progetto “ArcticHubs” finanziato dal programma Horizon 2020 dell'UE per affrontare le pressioni straordinarie sull’ambiente artico generate dalla combinazione di globalizzazione e dal riscaldamento climatico. ArcticHubs riunisce 21 partner in undici Paesi della regione artica (dal Canada alla Baltico) e di quella Alpina. I suoi partner provengono da università e istituti di ricerca, da ONG, dai settori pubblico e privato e dalla società civile. L’Università di Torino, rappresentata dai Dipartimenti di Scienze della Terra, Management e Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari e dal Centro di ricerca interdipartimentale NatRisk è l’unico partner italiano del progetto, e ha coordinato con l’agenzia NORCE (Norvegia) il gruppo di lavoro (WP2) sulla valutazione degli impatti ambientali.
La conduttrice radiofonica ha posto l’attenzione proprio su questi aspetti del progetto ArcticHubs. Si è constatato che l'apertura di nuovi settori economici, tra cui l'estrazione mineraria e il turismo di massa, insieme all'industrializzazione di molti mezzi di sussistenza tradizionali, come la pesca e la silvicoltura, stanno generando conflitti tra settori concorrenti nell'uso dei territori artici e subartici. Questi fenomeni antropici, insieme al riscaldamento climatico, stanno producendo anche nelle Alpi profonde trasformazioni nel territorio e nella vita delle persone e delle comunità, a livello economico, sociale, culturale, politico e ambientale. Il progetto ArcticHubs si è rivelato una fruttuosa collaborazione multidisciplinare internazionale che ha consentito di sviluppare soluzioni basate sulla ricerca e sulle buone pratiche locali per affrontare le urgenti sfide globali che riguardano queste regioni fragili.
Il Prof Giardino ha spiegato che al centro dell'approccio pionieristico del progetto ArcticHubs ci sono 22 “hub” – luoghi rappresentativi attraverso l'Artico e le Alpi –, dove sono state impiegate metodologie partecipative e collaborative per osservare scientificamente gli impatti del clima e delle attività economiche e per costruire strumenti orientati alla soluzione di questi problemi. In particolare ha mostrato come in questi hub si è cercato di conciliare le nuove opportunità economiche con i mezzi di sussistenza tradizionali al fine di contribuire alla mitigazione degli impatti derivanti dalla degradazione del permafrost e alla risoluzione dei conflitti di uso del suolo tra settori economici diversi. A tal fine, i ricercatori del progetto ArcticHubs hanno lavorato con le parti interessate a livello locale, nazionale, regionale e globale, comprese le comunità artiche e alpine, gli industriali, i responsabili politici e altri portatori di interesse, per dare un contributo importante alla sostenibilità e alla resilienza a lungo termine nelle fragili regioni artiche e alpine: ambiente, comunità e industrie, considerando i mezzi di sussistenza nuovi e quelli esistenti.
Ai fini di una corretta analisi, è stato indispensabile approfondire la conoscenza sulle relazioni fra contesto antropico e ambientale, per comprendere come queste forze agiscono sul territorio minacciandolo o valorizzandolo. In particolare, i ricercatori torinesi hanno avuto svolto attività di terreno e di laboratorio sulla geodiversità, sui servizi geosistemici e sulle relazioni con il contesto economico al fine di applicare il modello DPSIR (Driving, Forces, Pressure, State, Impact and Response) in modo comparativo fra gli hub della regione artica e delle Alpi. Si tratta di una procedura proposta dall’European Enviromental Agency (EEA) e dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per la valutazione dei fenomeni che possono generare un impatto ambientale ed per la scelta delle risposte politiche e gestionali da adottare in modo da mitigarne gli effetti.
Fra i risultati-chiave del progetto Il Prof. Giardino ha ricordato alcuni strumenti per costruire approcci collaborativi e consensuali all'utilizzo del territorio e delle risorse. Strumenti come i sistemi pubblici di informazione geografica partecipativa (PPGIS), le linee guida per la "licenza sociale per operare" da parte delle imprese e la costruzione di scenari futuri per l'Artico, sono stati sperimentati e implementati in collaborazione con le parti interessate nei 22 hub. Oltre agli hub "piscicoltura", "silvicoltura", "turismo", "estrazione mineraria" e "indigeni" all'interno dell'Artico, si sono rivelati fondamentali gli hub di "apprendimento" alpini, situati in Austria e Italia, i quali hanno fornito punti per il confronto e il controllo con i casi dell'Artico.
In conclusione, Celine Gagnon e Marco Giardino hanno convenuto che la conferenza ICOP2024 è stata una grande opportunità di condivisione pubblica di idee, metodologie e risultati di ricerche sul permafrost fra scienziati, media e popolazione locale, compresi rappresentanti delle principali nazioni indigene canadesi. Questa esperienza canadese ha rafforzato nel team torinese la convinzione che il progetto ArcticHub, ha offerto un contributo originale ma in sintonia con le esigenze espresse dalla comunità scientifica internazionale, perché i ricercatori coinvolti hanno saputo condividere esperienze di ricerca sulla sostenibilità sociale e ambientale, imparare gli uni dagli altri come affrontare questi problemi all'interno di ambienti fragili e innovare l'approccio DPSIR introducendo una cartografia mirata della geodiversità e una valutazione economica dei servizi geosistemici.
"Come nel titolo della programma radiofonico, i ricercatori torinesi – aggiunge il Prof. Giardino – hanno 'preso gusto' a questo approccio transdisciplinare integrato, scientifico e culturale. E insieme ai partner internazionali intendono continuare le analisi di luoghi (Artici/Alpini) apparentemente diversi ma profondamente simili nella loro fragilità. Gli obiettivi sono quelli di affinare la previsione degli scenari generati dalle pressioni antropiche e ambientali e di definire azioni locali sempre più mirate e specifiche in risposta alle esigenze territoriali. La lezione canadese suggerisce che questi obiettivi vanno perseguiti adottando non solo un approccio bottom-up e partecipativo, ma anche un attitudine al dialogo anche fra comunità distanti dal punto di vista geografico e culturale, come quelle artiche e alpine".