Sclerosi multipla: nuova luce sul ruolo della microglia nella riparazione della mielina
l lavoro, pubblicato su Acta Neuropatologica, ha coinvolto principalmente l’Università degli Studi di Milano, l’Istituto di neuroscienze Cavalieri Ottolenghi – Università di Torino e l’Università e il Policlinico San Martino di Genova.
La sclerosi multipla è una malattia neurologica progressiva caratterizzata da infiammazione cronica del tessuto cerebrale e da lesioni alla guaina mielinica che avvolge i prolungamenti nervosi garantendone l’integrità e consentendo la trasmissione veloce dei segnali. È opinione comune che la microglia, le cellule immunitarie del sistema nervoso, contribuiscano al danno, esercitando un effetto diretto sugli oligodendrociti, le cellule responsabili della produzione di mielina.
Un lavoro appena apparso sulla prestigiosa rivista Acta Neuropatologica coordinato da Claudia Verderio dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cnr-In) e che ha coinvolto primariamente l’Università degli Studi di Milano (gruppi di Maria Pia Abbracchio e Paola Viani), l’Istituto di neuroscienze Cavalieri Ottolenghi – Università di Torino (gruppo di Annalisa Buffo) e l’Università e il Policlinico San Martino di Genova (gruppo di Antonio Uccelli) dimostra che in realtà la microglia sarebbe di per sé sempre benefica sui precursori degli oligodendrociti, ma può diventare dannosa quando attiva un altro tipo di cellule presenti nel cervello, gli astrociti. Lo studio è stato finanziato principalmente dal grant Multiple Sclerosis Innovation di Merk Serono e dalla Fondazione italiana sclerosi multipla.
“È noto che la microglia può essere orientata ad un fenotipo pro-rigenerativo oppure potenzialmente deleterio a seconda del segnale che riceve dal microambiente. Questo può essere riprodotto in provetta, usando diversi tipi di molecole per attivarla. I nostri primi esperimenti hanno mostrato che gli effetti della microglia sono mediati dalla liberazione, nello spazio extracellulare, di vescicole di membrana di piccole dimensioni, che in provetta sono sempre benefiche sugli oligodendrociti, indipendentemente dallo stimolo che ha causato l’attivazione microgliale”, riferiscono Marta Fumagalli e la coordinatrice dello studio Claudia Verderio. “Tuttavia,” aggiungono Marta Lombardi e Roberta Parolisi “quando le vescicole ottenute da microglia esposta in provetta ad un segnale proinfiammatorio sono state iniettate direttamente all’interno del cervello in prossimità di una lesione demielinizzante, abbiamo osservato un forte blocco della capacità del tessuto di riparare la lesione, suggerendo il coinvolgimento, ‘in vivo’, di altri tipi di cellule presenti nel tessuto nervoso”.
A questo punto, l’esperimento ‘in vitro’ è stato ripetuto aggiungendo alla cultura di oligodendrociti vescicole ottenute da microglia infiammata in presenza di astrociti, il tipo di cellula non neuronale più abbondante del tessuto nervoso. I risultati hanno dimostrato che gli astrociti ‘condizionati’ dalle vescicole infiammate contenenti la nota citochina TNFalpha acquisiscono un fenotipo dannoso, che è il vero responsabile del blocco mielinico.
Con questo secondo gruppo di esperimenti, i ricercatori hanno anche dimostrato che è possibile neutralizzare il ‘cargo’ infiammatorio delle vescicole microgliali (e quindi gli effetti deleteri mediati dagli astrociti) pre-esponendo la microglia a cellule staminali mesenchimali, un tipo di cellule immunomodulanti in questo momento studiate in clinica per la messa a punto di nuove terapie cellulari nei pazienti con sclerosi multipla. In particolare, è stato dimostrato che le cellule staminali mesenchimali ‘smascherano’ l’effetto benefico mediato dai lipidi presenti nella membrana delle vescicole che favoriscono sia la migrazione degli oligodendrociti verso il sito del danno che la loro maturazione a cellule mielinizzanti.
“Il nostro studio contribuisce a spostare l’attenzione della comunità scientifica dalle cellule microgliali agli astrociti come bersagli primari da modulare per nuove terapie rimielinizzanti”, conclude Claudia Verderio. “Inoltre, sarà a questo punto importante identificare i lipidi responsabili degli effetti riparativi, in quanto passo essenziale nella messa a punto di future terapie”.