Ricercatori di UniTo svelano l’aspetto dell’oca gigante del Gargano
Alta un metro e mezzo, usava le ali come arma: pubblicata sulla rivista Royal Society Open Science la ricerca del team internazionale guidato dall’Università di Torino
Di Marco Pavia
Nelle cave di calcare di Apricena, in provincia di Foggia, durante l’attività estrattiva sono state scoperte fessure carsiche che contengono molti resti fossili di vertebrati che abitavano l’area circa 6 milioni di anni fa.
L’area del Gargano era infatti parte di un antico arcipelago ormai scomparso, che includeva anche parte dell’attuale Appennino Centrale e che era abitato da diversi animali, con caratteristiche molto particolari derivanti dal loro isolamento: in particolare si tratta di forme nane di grandi mammiferi e tartarughe e forme giganti di piccoli mammiferi e uccelli.
Tra queste specie endemiche, la più rara è Garganornis ballmanni, l’oca gigante alta un metro e mezzo e pesante oltre 20 chili scoperta solo nel 2014 e conosciuta finora solo in base ad un unico osso.
Nell’ambito di una ricerca ancora in corso che riguarda lo studio dei resti di uccelli fossili rinvenuti nell’area delle cave di Apricena e Scontrone, in provincia dell’Aquila, e conservati in istituti di ricerca in Italia - Torino, Firenze, Scontrone - ed Europa – Leiden e Augsburg - sono emersi nuovi resti di questa rarissima specie.
Un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Marco Pavia, paleontologo dell’Università di Torino, ha pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science i risultati dell’analisi di questi nuovi reperti che hanno permesso anche di ricostruire l’aspetto in vita di Garganornis ballmanni.
Si trattava di un animale piuttosto tozzo e più adatto alla vita terrestre piuttosto che acquatica, come dimostrato dalle dita corte più agili a camminare che a nuotare. Le ali erano estremamente accorciate, a tal punto da non consentirgli di volare, ma dotate di un callo osseo sul carpometacarpo - l’equivalente delle ossa della mano dell’uomo - che poteva avere la funzione di un’arma nei combattimenti territoriali e per la riproduzione.
Le sue grandi dimensioni la mettevano al riparo dai predatori presenti nell’arcipelago, soprattutto altri uccelli, ma la sua estrema specializzazione non le ha consentito di sopravvivere ai cambiamenti ambientali verificatesi in tutto il Mediterraneo circa 5 milioni di anni fa, che hanno completamente sconvolto la geografia dell’area e portato all’estinzione di tutti i vertebrati dell’arcipelago.
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