Monica Passananti vince lo Starting Grant dell'European Research Council (ERC)
Il progetto NaPuE della docente di Chimica ambientale al Dipartimento di Chimica dell'Università di Torino studierà gli effetti delle nanoplastiche sulla superficie degli oceani e nell'atmosfera
Lo scorso 3 settembre sono stati annunciati i vincitori dei finanziamenti dell’European Research Council, l’organismo dell’Unione Europea che sostiene l’eccellenza scientifica. La professoressa Monica Passananti, ricercatrice del Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino e docente di chimica ambientale, ha ottenuto 1.624.751 euro per i prossimi 5 anni. Il progetto NaPuE – Impact of Nanoplastics Pollution on aquatic and atmospheric Environments studierà l’impatto delle nanoplastiche sull’ambiente determinando come queste possano interagire con le componenti abiotiche nell’acqua marina e nell’atmosfera e come possano modificare i processi naturali.
Cosa sono le nanoplastiche?
Le nanoplastiche sono dei pezzi minuscoli di plastica. Si chiamano nano, perché hanno una dimensione molto molto piccola, di solito viene definita minore di un micrometro. Non si vedono a occhio nudo e possono entrare nell’ambiente attraverso uno smaltimento non corretto dei rifiuti o anche attraverso l’utilizzo giornaliero di prodotti, come ad esempio gli scrub per il viso, che contengono nano o microplastiche. Un’altra fonte, che è quella principale è la degradazione di detriti di plastica più grandi. Così, quando c’è una bottiglia di plastica sulla spiaggia o in mare, questa piano piano si degrada, con un processo molto lento, e produce pezzettini di plastica più piccoli, tra cui anche le nanoplastiche.
Al momento sappiamo quanta nanoplastica esiste nel mondo?
No, al momento non lo sappiamo. Abbiamo un’idea per quanto riguarda le microplastiche, perché ci sono delle tecniche che permettono di campionarle e analizzarle, ma per quanto riguarda le nanoplastiche non è ancora possibile. Esistono al massimo uno o due studi al mondo che riportano l’analisi di nanoplastiche nell’ambiente. Infatti, il mio progetto prevede anche questo: lo sviluppo di metodi e tecniche che permettano il campionamento e l’analisi delle nanoplastiche all’interno dell’ambiente. Così avremo un’idea di quante nanoplastiche sono sparse nell’ambiente. È importante tenere a mente che, per quanto riguarda i mari, i pezzi di plastica grandi sono circa l’1% della plastica che sappiamo essere finita in mare. Il restante 99% non sappiamo che fine abbia fatto ed è probabile che parte di questa percentuale siano nanoplastiche.
Che cambiamenti producono le nanoplastiche sull’ambiente?
Anche in questo caso non ne siamo certi e il progetto studierà anche questo. Effettivamente le nanoplastiche sono più reattive di un detrito di plastica più grande, perché espongono una superficie maggiore a parità di peso e la reattività avviene proprio alla superficie. Quando si rompe un pezzo di plastica abbastanza grande in parti più piccole, queste espongono una superficie molto più ampia e possono generare reazioni con ossidanti e composti naturalmente presenti in atmosfera e in acqua, interferendo con in normali processi naturali. Le plastiche sono fatte da carbonio e quindi noi immettiamo nell’ambiente una quantità di carbonio che non dovrebbe essere presente.
Che obiettivi si propone di raggiungere?
Fondamentalmente vorremmo capire la reattività delle nanoplastiche nell’ambiente, in particolare nelle acque superficiali di mari e oceani e nell’atmosfera, sviluppare tecniche che permettano di analizzare e raccogliere le nanoplastiche e definire quali sono gli impatti da un punto di vista più globale, come può influire sul ciclo del carbonio e se e come queste possano avere un impatto sul cambiamento climatico. Il progetto vuole lanciare le basi della ricerca sulle nanoplastiche, dato che attualmente c’è molto poco e la ricerca in tutto il mondo è agli inizi. È molto importante svilupparla per capire quali siano le conseguenze e fare si che anche la parte legislativa venga modificata adeguatamente in modo da diminuire il più possibile gli effetti di questo genere di inquinamento.
Come si svilupperà il progetto in questi cinque anni?
Si svilupperà in due istituti: nel Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino e nell’Istituto INAR dell’Università di Helsinki, in Finlandia. Questo perché i due istituti hanno due tipi di competenze diverse tra loro e complementari. Il Dipartimento di Chimica ha una grande esperienza nella comprensione e nello studio dei processi che avvengono sulle acque superficiali, mentre l’Istituto di Helisinki ha un forte background per tutti i processi che avvengono in atmosfera. Dato che il progetto vuole coprire entrambi gli ambiti, dal momento che le nanoplastiche si trovano anche nell’atmosfera e anche lì posso avere un impatto sull’ambiente, l’unione delle competenze permetterà di avere un quadro d’insieme.
Studierà anche l’impatto sulla salute?
Non in questo progetto. Oggi ancora non si sa quali siano gli impatti sulla salute. Ci potrebbero essere, anche perché le nanoplastiche, proprio perché sono così piccole riescono a passare la barriera ematica, quindi in teoria ci potrebbero essere conseguenze per la salute e potrebbero anche essere tossiche. Ci sono studi in atto, ma non è ancora stato definito effettivamente se siano tossiche o quanto lo siano. Il mio progetto non prevede di valutare la tossicità, ma potrebbe essere d’aiuto in futuro a valutare e identificare quali sono le nanoplastiche che è più importante analizzare per testarne la tossicità.