Gli effetti del COVID-19 sul sistema cardiovascolare nei pazienti anziani: la ricerca segnalata dall'OMS
L’articolo della Società Italiana di Ricerche Cardiovascolari è stato selezionato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per il suo potenziale contributo conoscitivo e le sue ricadute sulla società civile
L'infezione da Sars-Cov-2 causa polmonite virale ma, nei pazienti più anziani, non sono inusuali manifestazioni extra-polmonari che in alcuni casi interessano il sistema cardiovascolare. In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Geroscience, un gruppo di ricercatori delle Università di Torino, Pavia, Milano, Cosenza, Parma, Pisa e Bari e membri della Società Italiana di Ricerche Cardiovascolari (SIRC), ha analizzato la letteratura scientifica a disposizione sull'argomento. Lo studio è stato selezionato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per il suo potenziale contributo conoscitivo e le sue ricadute sulla società civile.
Il Prof. Luca Munaron, docente di Fisiologia al Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell'Università di Torino e membro del Direttivo SIRC, è uno degli autori.
Professor Munaron, in cosa consiste lo studio appena pubblicato e quali soggetti riguarda?
Si tratta di uno studio che discute criticamente la letteratura specialistica prodotta negli ultimi mesi in relazione ai danni provocati su cuore e sistema circolatorio nei pazienti affetti da CoVid-19. Tra le complicanze maggiori al di fuori del sistema respiratorio, si osservano lesioni acute del tessuto cardiaco, aritmia e shock, soprattutto nei più anziani. Inoltre, i soggetti già affetti da disfunzioni cardiovascolari, come l'ipertensione e le malattie coronariche, presentano un esito clinico peggiore. Una caratteristica sorprendente della pandemia è l'alta incidenza di decessi nei pazienti in età avanzata, forse dovuta al fatto che le malattie cardiovascolari aumentano con l'età a causa di disfunzioni del tessuto endoteliale che riveste i vasi sanguigni e della perdita di meccanismi che proteggono il cuore nell'organismo sano.
In senso generale, dunque, i soggetti coinvolti sono coloro che i clinici definiscono affetti da “fragilità”. La fragilità può essere vista come il risultato della rottura dell'equilibrio omeostatico dell'organismo, che porta a manifestazioni cliniche eterogenee e multi-organo quando l'individuo è esposto a fattori di stress endogeni o esogeni, come nel caso di un’infezione virale.
Quale può essere l'impatto del vostro lavoro e perché l'OMS ha ritenuto di segnalarlo per le sue ricadute sulla società civile?
Nei Paesi industrializzati le popolazioni sono invecchiate e la pandemia di CoVid-19 è caratterizzata dall'alta incidenza di decessi nei pazienti anziani e più in generale, come ho accennato prima, affetti da “fragilità”.
Una recente analisi dell'Istituto Superiore di Sanità ha rivelato che il tasso di mortalità complessiva aumenta con l’età sia in Cina che in Italia, dove tuttavia il tasso di mortalità da CoVid-19 è stato notevolmente più elevato a causa del maggior tributo pagato nel nostro Paese dai soggetti di età superiore ai 70 anni e da quelli di età superiore ai 79 anni. In altri termini, le caratteristiche demografiche del nostro Paese, dove nel 2019 il 23% della popolazione aveva un'età superiore ai 65 anni, hanno aggravato l’impatto complessivo della patologia. È da notare che l'invecchiamento rappresenta uno dei fattori di rischio più dannosi per il sistema cardiovascolare. Pertanto la questione della fragilità della popolazione anziana costituisce un parametro critico da tenere in considerazione per il controllo delle pandemie da Sars-Cov-2.
L’OMS ha segnalato il nostro lavoro per due ragioni sostanziali: la prima è legata al prestigio internazionale dell’editore (la rivista Geroscience è pubblicata da Springer Nature), e la seconda è dovuta al fatto che il nostro articolo costituisce uno dei primi tentativi di correlare in modo esteso ed organico i processi molecolari associati all'infezione virale con l’insorgenza dei danni clinici. Purtroppo, sebbene gli studi sperimentali e clinici si stiano accumulando a una velocità impressionante, stiamo vivendo ancora una fase embrionale della ricerca in cui le speculazioni prevalgono sull'informazione realmente disponibile. Solo un’analisi statistica più ricca potrà produrre conclusioni più rigorose e affidabili.
In questa fase storica così complessa e incerta, il ruolo della SIRC vuole essere quello di analizzare e sintetizzare i contributi di ricerca che concernono il coinvolgimento del sistema cardiovascolare nella patologia CoVid-19. La missione della nostra Società non è solo quella di rivolgersi agli specialisti, ricercatori e clinici, è anche quella di orientare e selezionare l’informazione fornita alla società civile in quell'ottica di public engagement che rappresenta anche una priorità del nostro Ateneo.
Qual è stato il contributo dell'Università di Torino?
In questo studio, l’Università di Torino è rappresentata da due gruppi di ricerca, entrambi costituiti da fisiologi. Uno opera presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche e coinvolge il Prof. Pasquale Pagliaro e la Prof.ssa Claudia Penna che vantano decenni di esperienza nell'ambito della fisiopatologia cardiaca. L’altro è il Laboratorio di Angiogenesi Cellulare e Molecolare da me coordinato presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi: da più di vent'anni indaghiamo i meccanismi responsabili dell’alterazione dell’endotelio vascolare in diverse patologie umane.
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