Dimmi come giochi e ti dirò chi sei
Uno studio condotto da ricercatori dell'Università di Torino e Pisa ha messo in relazione il gioco con la propensione che gorilla e scimpanzé hanno nel costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto.
Il gioco è la cartina tornasole per comprendere la qualità delle relazioni che legano gli individui perché richiede grande affiatamento e sincronizzazione. Lo studio dei ricercatori si è focalizzato sulla modalità ludica di scimpanzé e gorilla, due specie che condividono con noi il 98-99% del DNA e che rappresentano ottime specie modello per capire qualcosa di più anche sull’evoluzione del comportamento umano.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Plos One, ha messo in relazione il gioco con la propensione che gli individui delle due specie hanno nel costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto. Gorilla e scimpanzé differiscono profondamente per l’organizzazione sociale e il modo di creare amicizie e alleanze. Mentre la società degli scimpanzé è unita e coesa, adesempio i soggetti si scambiano spesso il grooming e contatti affiliativi; nella società dei gorilla, organizzata ad harem, le femmine stanno semplicemente vicine al maschio senza mostrare particolari interazioni sociali. Così come ipotizzato sulla base di queste differenze, soltanto i giovani gorilla giocano mentre gli adulti non lo fanno praticamente mai. Le sessioni negli scimpanzé coinvolgono molti più giocatori di qualsiasi età.
Le sessioni sono anche molto più sbilanciate con gli scimpanzé che prevalgono sugli altri nel gioco di lotta senza però scivolare incomportamenti pericolosi. Nonostante il gioco nei gorilla sia molto più cauto ed equilibrato è molto più probabile che la lotta per gioco si trasformi in un vero e proprio scontro: ecco che la finalitàpositiva dell’interazione ludica viene meno. Il gioco è un comportamento attraverso cui si costruiscono legami sociali che possono durare nel tempo. Non saper gestire quindi in modo opportuno le sessioni di gioco ostacola la formazione di tali relazioni positive e la capacità cimantenerle.
Nell’uomo, sarebbe interessante capire se chi è più competente nel gioco da bambino o ha semplicemente avuto più opportunità di giocare è anche un adulto socialmente più competente, unendo l’approccio etologico-naturalistico a quello psicologico.
Lo studio è stato condotto dai ricercatori Elisabetta Palagi, Giada Cordoni e Maria Bobbio dell'Università di Pisa e da Ivan Norscia del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell'Università di Torino.