Da Berkeley a Torino per rendere più sicuro il monossido di carbonio
Ricercatori italiani e americani lavorano su un nuovo materiale sintetico che possa immagazzinare il CO
Lo studio di un nuovo materiale in grado di interagire con il monossido di carbonio (CO), sintetizzato nei laboratori dell’Università di Berkeley (California) e studiato in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature.
Il monossido di carbonio (CO) è un gas utilizzato in molti importanti processi industriali, malgrado la sua fortissima tossicità. È, infatti, un gas inodore, insapore e incolore che è in grado di legarsi saldamente al ferro dell'emoglobina del sangue al posto dell’ossigeno e di portare un essere umano alla morte per anossia in breve tempo. Proprio per questo motivo viene solitamente denominato il “grande imitatore” o “killer silenzioso”. Insieme all’idrogeno molecolare (H2), il CO forma una miscela molto usata nell’industria chimica, denominata syngas (dall’inglese Synthesis Gas, gas di sintesi), che è il punto di partenza per la sintesi di molti prodotti della chimica di base, tra cui anche combustibili sintetici. Inoltre, il monossido di carbonio è un intermedio essenziale nella produzione di ferro e acciaio ed è ampiamente usato nell’industria dei semi-conduttori.
Il suo largo impiego e la sua pericolosità intrinseca spingono la ricerca verso lo studio di tecnologie che siano in grado di rilevare il gas tossico e di rendere più sicuro il suo utilizzo. Una delle strategie adottate si rivolge verso lo sviluppo di materiali molto affini al CO e che siano capaci di immagazzinarlo in grandi quantità, per poi rilasciarlo facilmente quando richiesto dall’applicazione in impianto, garantendo quindi di lavorare in condizioni di massima sicurezza.
Questo nuovo materiale, studiato dai ricercatori italiani e statunitensi, è una struttura metallo organica (MOF), cioè un materiale cristallino (ordinato) costituito da un sito metallico (il ferro in questo caso) connesso a un legante organico rigido, in grado di formare una struttura tridimensionale porosa. La scelta dell’utilizzo del ferro come sito metallico non è stata casuale ed è stata ispirata proprio dall’elevata affinità osservata in natura tra il monossido di carbonio e il ferro dell’emoglobina.
L’unicità di questo nuovo materiale, messa in luce anche delle misure condotte nel Dipartimento di Chimica di UniTo, consiste nel fatto che i suoi atomi di ferro, se messi a contatto con monossido di carbonio al di sopra di una certa quantità, si “sintonizzano” in maniera concertata e rispondono cooperativamente verso la sua cattura ed immagazzinamento. Il processo è inoltre molto specifico per questa molecola, evitando la contemporanea cattura di altre molecole, eventualmente co-presenti nella miscela gassosa.
In sostanza, quando il CO si lega a un atomo di ferro di questo materiale, esso è in grado di indurre una modificazione negli atomi di ferro vicini. Usando una terminologia più specifica, l’interazione con il CO induce un cambiamento dello stato di spin del ferro; gli atomi di ferro vicini avvertono questa variazione e, di conseguenza, cambiano tutti spin in maniera concertata.Questa modificazione degli atomi di ferro li rende più “attraenti” per il CO, il che significa che il materiale ne assorbe “spontaneamente” quantità molto elevate. La peculiarità di tale fenomeno è che si presenta improvvisamente, quando lo spin degli atomi di ferro si capovolge e proprio per questo viene denominato “adsorbimento cooperativo”.
Un’altra importante caratteristica di questo materiale è la sua capacità di poter essere riutilizzato praticamente “all’infinito” per la cattura del CO e con un bassissimo dispendio di energia. Infatti, il monossido di carbonio, una volta adsorbito, può essere rilasciato molto facilmente innalzando la temperatura solamente fino a 60°C.
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