Covid-19, i virologi veterinari di UniTo sperimentano un test del sangue per scoprire chi è già immune
I Proff. Sergio Rosati, Barbara Colitti e Luigi Bertolotti hanno realizzato un esame sierologico per identificare una fascia della popolazione a cui potrebbe essere consentito di riprendere, prima di altri, l’attività lavorativa
I virologi veterinari del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino hanno realizzato un test sierologico per identificare i soggetti che, avendo superato l’infezione asintomatica da Covid-19, potrebbero risultare immuni da successive infezioni e rappresentare quella fetta di popolazione dalla quale ripartire. “Siamo riusciti a sviluppare due proteine del virus Sars-CoV-2 in forma ricombinante e siamo pronti per iniziare la sperimentazione”, spiegano i Proff.
La loro sperimentazione nasce da un’ipotesi: “Se da più parti si consolida l’opinione che circa l’80% delle persone contrae una forma di Covid-19 asintomatica, allora vorrebbe dire che, ad oggi, quasi un milione di persone hanno già superato l’infezione naturale. Queste persone, in altri termini, hanno sconfitto il virus con il loro sistema immunitario. La speranza, tutta però da verificare, è che siano resistenti a successive infezioni con lo stesso virus, almeno per un certo periodo. Se Covid-19 non seguisse questa regola, allora sarebbe inutile parlare di vaccino, perché questo conta sul fatto che il nostro sistema immunitario impara e ricorda. Se la vediamo da un altro punto di vista, tornando all’80% di prima, è come se questi “fortunati” cittadini, avessero vinto un biglietto della lotteria: è come se si fossero vaccinati con il miglior vaccino possibile (almeno per loro) ovvero un’infezione per via naturale (la mucosa del naso), asintomatica (senza effetti indesiderati) e una robusta risposta immunitaria nelle sue diverse forme (immunità locale, immunità anticorpale e immunità cellulo-mediata)”.
Qual è la proposta dei virologi veterinari di UniTo? “Cominciamo – sottolineano i Proff.
– a cercare nel sangue delle persone gli anticorpi verso le proteine virali per intercettare con rapidità tutti i sieropositivi e identificare una fascia della popolazione a cui potrebbe essere consentito di riprendere, prima di altri, l’attività lavorativa, facendo leva sull’immunità di popolazione di cui si è tanto dibattuto. Il primo pensiero per noi andrebbe al personale sanitario. È giusto che questa fascia a rischio pretenda il tampone, ma ricordiamoci che un esito negativo al tampone non dice se quella persona non si è ancora contagiata o se ha già superato l’infezione ed è tornata negativa per il virus”. La presenza di anticorpi consentirebbe, invece, di classificare il personale “immune” e consentire loro di esercitare l’attività lavorativa con maggiore serenità. Seguirli nel tempo permetterebbe inoltre di verificare l’ipotesi di una immunità protettiva e la sua durata.Ma come si cercano gli anticorpi? “Le tecniche di ingegneria genetica ci consentono di produrre le proteine virali nei batteri o in cellule di mammifero, senza manipolazioni rischiose. La nostra ricerca è nata da una attiva collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, il Dipartimento di Chimica della nostra Università e la “in3diagnostic”, che, condividendo la nostra ipotesi, si sono adoperati da subito per fornire reagenti, discutere strategie e dividersi il lavoro”, precisano i docenti dell’Ateneo torinese.
La fase sperimentale sta per avere inizio, grazie all’interesse di alcuni Ospedali di riferimento e presto avremo i primi risultati. Il test “made in Italy” garantisce una produzione locale, senza dipendenze da produttori stranieri, che potrebbero non garantire un adeguato flusso di reagenti verso il nostro Paese. “Il nostro principale obiettivo è studiare la risposta immunitaria e definire il campo di applicazione del miglior metodo possibile, senza scorciatoie o approssimazioni, ma con l’onestà intellettuale che caratterizza la ricerca universitaria”.
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