Convivere con l'HIV, quando la regolazione delle emozioni ha un peso sulla malattia
Una ricerca dell’Università di Torino pubblicata sulla rivista scientifica internazionale AIDS and Behavior ha messo in evidenza il ruolo dell’alessitimia, disturbo che consiste in un deficit della consapevolezza emotiva, in persone che vivono con HIV
L'infezione da HIV danneggia il sistema immunitario distruggendo le cellule CD4, un sottogruppo di globuli bianchi. Da un report del 2021, si stima che nel mondo ci siano 38,4 milioni di persone che vivono con l'HIV, di cui 36,7 milioni di età pari o superiore a 15 anni, il 53% di sesso femminile e 1,5 milioni di nuove diagnosi. Ad oggi, grazie alla terapia antiretrovirale si ottiene un rapido controllo dell'HIV e un parziale ripristino della funzione immunitaria. La terapia, se correttamente e costantemente assunta, rende la persona non più infettabile e permette di prevenire l'insorgenza delle complicanze che definiscono la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).
Diversi aspetti psicologici sono stati studiati in termini di fattori di rischio per la non aderenza al trattamento. Tra questi fattori vi è l’alessitimia, una caratteristica psicologica intesa come difficoltà nel riconoscere, descrivere ed esprimere le proprie emozioni e che sembra associata a diverse condizioni sia psicologiche che mediche.
Uno studio condotto dalle ricercatrici Agata Benfante e Annunziata Romeo del gruppo “ReMind the Body” del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale AIDS and Behavior, ha messo in luce un’associazione significativa tra alessitimia e gravità della malattia, comportamento di aderenza al trattamento, disturbi cardiovascolari e deterioramento cognitivo nelle persone che vivono con HIV.
Il campione preso in considerazione da tutti gli studi analizzati (14) ha un’età media tra i 35 e i 47 anni ed è prevalentemente di genere maschile. La prevalenza dell’alessitimia tra le persone che vivono con HIV oscilla tra il 10% e il 25%. Inoltre, da queste ricerche emerge che l’alessitimia sia associata alla gravità della malattia (es. livello di viremia) e all’aderenza alla terapia antiretrovirale. Questa difficoltà nella regolazione delle emozioni sembra essere implicata sia nei disturbi cardiovascolari sia nel deterioramento cognitivo in comorbidità con l’infezione da HIV. Nello specifico, i pazienti con elevate difficoltà nella regolazione delle proprie emozioni tendono ad essere meno aderenti alla terapia, col rischio di una maggiore resistenza farmacologica e una ricaduta negativa sui livelli di viremia.
Questi pazienti tendono ad avere anche maggiori difficoltà nelle relazioni interpersonali, che possono ricadere, ad esempio, nella relazione medico-paziente, e nella maggiore tendenza ad evitare l’uso delle relazioni sociali come risorsa personale per affrontare una condizione medica cronica. Infine, elevati livelli di alessitimia sembrano aumentare il rischio di problemi cardiovascolari (come diabete e ipertensione) e predire alcune disfunzioni neuropsicologiche (peggiore attenzione, memoria di lavoro, organizzazione visuo-spaziale) in pazienti con HIV. Una condizione di vita cronica e stressante come convivere con una diagnosi di HIV insieme a caratteristiche individuali, come l’alessitimia, influenza la qualità di vita ed il benessere psicologico dell’individuo.
La ricerca suggerisce che un’attenta valutazione del processo di regolazione emotiva può fornire informazioni prognostiche rilevanti e utili nell’approccio al paziente. L’identificazione dei diversi processi attraverso i quali l’alessitimia è correlata alla gravità della malattia consente di individuare coloro che presentano maggiore probabilità di sviluppare una condizione clinica peggiore. Trattamenti psicologici incentrati sui processi di regolazione emotiva, in aggiunta alle necessarie terapie antiretrovirali, potrebbero aiutare le persone che vivono con l’HIV a migliorare le loro capacità sociali e cognitive, a mantenere nel tempo l’aderenza farmacologica e a migliorare la loro qualità di vita.
I risultati di questa revisione della letteratura diventano uno spunto di riflessione più ampio e generale, ponendo l’accento sull’importanza di una visione multifattoriale della salute, che stimoli la realizzazione di ulteriori protocolli di ricerca, così come di interventi più mirati.