Cimice asiatica: in Italia invasione sotto controllo anche grazie agli studi di UniTO
Il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino: "Non è pericolosa per l’uomo"
“In Italia, la cimice asiatica è stata rinvenuta per la prima volta nel 2012 nella zona di Modena e nel 2013 in Piemonte, nei pressi di Cuneo – esordisce la professoressa Luciana Tavella del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino -. Quando l’abbiamo notata probabilmente era arrivata già da un po’, ma ci ha messo del tempo a diffondersi”.
Moltissime testate, locali e nazionali, hanno addirittura parlato di “invasione della cimice asiatica”, ma secondo la docente, che studia questo insetto dalla fine del 2013, la situazione, pur molto fastidiosa, non è pericolosa in ambito urbano. Innanzitutto Halyomorpha halys – questo il nome scientifico della cimice - è del tutto innocua per l’uomo. “Non punge le persone e non trasmette malattie. I cittadini ne segnalano la presenza perché a fine estate tende ad aggregarsi per svernare all’interno di abitazioni e ricoveri vari – spiega Tavella -. La sua presenza non è neppure sinonimo di sporcizia o di degrado ambientale. La cimice asiatica ha un apparato boccale pungente, ma si nutre di frutti e semi, come baccelli di soia, spighe di mais, semi di girasole e poi pere, pesche, nocciole e olive”.
Se un tempo arrivava la cimice verde, ora è il momento di quella asiatica. Facile da distinguere dall’insetto che l’ha preceduta per il colore grigio-bruno, che la rende, però, simile ad un’altra cimice che abbiamo in Italia, Rhaphigaster nebulosa. Per riconoscerla basta guardare le antenne, che in Halyomorpha halys sono nere con bande bianche. La sua diffusione non è dovuta a fattori climatici: semplicemente, quando, nel suo peregrinare, questo insetto arriva in un ambiente favorevole, si sviluppa in tempi rapidi. Anche perché ogni femmina può deporre fino a 500 uova.
Halyomorpha halys non è diffusa dappertutto in Italia, non c’è stato ancora nessun avvistamento né al Sud né sulle isole. Danni importanti alle colture agrarie si sono osservati, invece, sulle coltivazioni di Emilia Romagna e Piemonte. “A fine 2013 abbiamo iniziato a studiare la reale dannosità di questa cimice, osservando come si distribuisce e quali sono le colture che attacca. In Piemonte abbiamo effettuato prove a questo scopo, isolandola su nocciolo, mais, olivo – spiega Tavella. - Ora stiamo impostando delle strategie di difesa. Grazie al progetto europeo Life+ Su-Sa-Fruit: Low pesticide IPM in sustainable and safe fruit production, abbiamo saggiato, con buoni risultati, l’impiego di reti escludi-insetto come barriere per impedire l’accesso alla cimice nei frutteti. In più - aggiunge la professoressa - stiamo lavorando sul controllo biologico. Quest'estate abbiamo raccolto oltre 15mila uova di Halyomorpha halys in giro per il Piemonte per vedere quanto fossero diffusi gli eventuali parassitoidi, ovvero se esistesse un nemico naturale indigeno in grado di attaccare questo insetto esotico. Abbiamo trovato, per così dire, un ‘nemico generalista’, che attacca diverse specie, non solo la cinice asiatica”.
All’Università di Torino non c’è ancora un progetto etichettato “Halyomorpha halys”, ma questo non ha impedito ai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari di monitorare, fin dal suo arrivo, anche questo insetto. Oltre al progetto europeo Life, infatti, sono attive altre ricerche che prevedono una parte di indagine sulla cimice asiatica, come Fruitsensor: Sviluppo di tecnologie convergenti (nanotecnologiche, biotecnologiche e informatiche) per la frutticoltura di precisione sostenibile. “All'interno di questo progetto stiamo valutando la possibilità di individuare la presenza della cimice in un certo ambiente, a inizio infestazione, mediante l'impiego di tecnologie avanzate quali il naso elettronico, uno strumento in grado di captare alcune sostanze emesse dalla cimice – spiega Tavella. - L'obiettivo è quello di rilevare in modo tempestivo il fitofago nella coltura in modo da poter attuare le migliori strategie di difesa. Abbiamo all’attivo anche altre collaborazioni con enti di ricerca locali e con ditte private, che prevedono prove con repellenti. Ma il nostro lavoro non si esaurisce qui: quest’estate abbiamo collaborato a una ricerca promossa da ricercatori americani sui feromoni in grado di attirare la cimice asiatica, che sono stati provati in Piemonte, nel Campus di Grugliasco, e in altre aree italiane ed europee, come Svizzera, Ungheria, Grecia. Indovinate quante cimici hanno catturato le trappole piazzate in Ungheria? 10 volte quelle catturate da noi”.